Thames Valley (UK), Silicon Oasis (Dubai-UAE) e molte altre: tutti tentativi di imitare la Silicon Valley californiana. E se ci ispirassimo a un modello più antico? Un grande polo d’innovazione come la Firenze rinascimentale, fucina di idee e talenti.
Urbanisti, architetti, ingegneri di tutto il mondo aspirano a replicare il successo della Silicon Valley. Progetti come la Thames Valley in Inghilterra, o la Silicon Oasis a Dubai ne sono esempi lampanti. Spesso però questi sforzi non tengono conto della variabile fondamentale per raggiungere l’obiettivo, ossia la creazione di un sistema culturale atto ad accogliere l’innovazione come switch mentale necessario per competere a livello mondiale. Coloro che sperano di lanciare il prossimo grande polo dell’innovazione forse dovrebbero volgere lo sguardo a qualcosa di più antico di ciò che accade nella San Francisco Bay Area odierna: la Firenze rinascimentale.
Eric Weiner, su Harward Business Review, contrappone i due modelli, portando alla luce le criticità di quello californiano, superabili, secondo il giornalista, sfruttando le buone pratiche della città fiorentina del XV secolo.
La città-stato italiana ha prodotto un’esplosione di idee brillanti, talenti pazzeschi e fermento culturale come mai si era assistito prima (e dopo). Questa fucina di innovazione, di oltre 500 anni fa, offre ancora oggi importanti spunti sull’humus culturale da ricreare per ottenere risultati realmente apprezzabili nel campo, senza confini, dell’innovazione.
Il mecenatismo
I Medici di Firenze erano leggendari spotters di talenti, e utilizzavano le loro ricchezze per supportare chi dimostrava di valere quella generosità. Lorenzo Medici, noto come Lorenzo il Magnifico, un giorno, mentre stava passeggiando per la città, notò un ragazzetto di non più di 14 anni. Il giovane stava scolpendo un fauno, una figura della mitologia romana, metà uomo e metà capra: il talento e la tenacia colpirono il mecenate. Invitò immediatamente il giovane a vivere nella propria residenza, dove gli offrì accoglienza ed educazione. Quello fu un investimento straordinario, che lo ripagò profumatamente, poiché quel ragazzo era Michelangelo. I Medici non spendevano con leggerezza, calcolavano i rischi e riconoscevano il genio.
Oggi, comunità, organizzazioni e i cosiddetti business angels dovrebbero tornare ad adottare un approccio simile: sponsorizzare nuovi talenti, non come atti caritatevoli, ma come investimenti sul futuro per il bene comune.
Si vogliono diminuire i rischi. Certo. Ma la Firenze rinascimentale ci insegna il contrario: i più grandi nomi dell’arte e della letteratura apprendevano il loro mestiere ai piedi dei grandi maestri. Leonardo da Vinci, ad esempio, trascorse un intero decennio nella bottega fiorentina di Andrea del Verrocchio (che formò anche Botticelli, Ghirlandaio, Signorelli e molti altri). Verrocchio era sicuramente in grado di individuare il genio e il talento nascente, responsabilizzando sempre più i giovani, arrivando a permettere di dipingere porzioni delle sue opere, dimostrando così enorme fiducia.
Perché Leonardo rimase un apprendista per così tanto tempo? Avrebbe potuto facilmente trovare lavoro altrove, ma ha preferito restare accanto ad un grande mentore, nel suo polveroso e caotico laboratorio.
Troppo spesso oggi i programmi di mentoring, pubblici o privati, sono pieni di parole, poveri di contenuti e sconnessi dalla società.
Se il potenziale trionfa sull’esperienza
Quando il Papa Giulio II era intento a decidere chi avrebbe dovuto dipingere il soffitto della Cappella Sistina, Michelangelo non era affatto nella short list. Grazie al mecenatismo mediceo, era diventato sì noto come scultore a Roma, così come a Firenze, ma la sua esperienza pittorica era assai limitata. Il Papa venne a conoscenza del giovane Michelangelo, e pensò che per il compito che doveva assegnare (l’affresco della Cappella era una vera mission impossible dell’epoca) fosse più importante il talento e il potenziale rispetto all’esperienza, e, come sappiamo, ebbe ragione.
Oggi invece vengono assegnati compiti e ruoli importanti quasi esclusivamente a quelle aziende o persone che hanno svolto lavori simili in passato. L’approccio di Giulio II potrebbe rivelarsi vincente anche oggi, assegnando ardui compiti al candidato che “da curriculum” ha espresso il proprio potenziale in un altro campo, ma che nonostante l’inesperienza potrebbe offrire risultati migliori e spesso più creativi e innovativi.
Rischioso? Sì, ma il potenziale guadagno è enorme
I “disastri” creano opportunità
La Firenze rinascimentale insegna anche come gli eventi devastanti possano portare benefici sorprendenti. Il Rinascimento fiorì nella città solo pochi decenni dopo la terribile epidemia di peste che invase l’Europa tra il 1348 e il 1353, uccidendo almeno un terzo della popolazione del vecchio continente.
La “morte nera” (come veniva chiamata) distrusse il rigido ordine sociale, portando a galla nuove personalità prive di beni ma ricche di ingegno, dando così nuova linfa all’arte e alla cultura. Secoli prima Atene rinacque dopo il tremendo attacco dei persiani. Insomma, un periodo di sconvolgimenti precede, quasi sempre, un risveglio creativo. Da qui un innovatore dovrebbe sempre chiedersi: «cosa posso ricavare di buono da questo problema o da questa esperienza negativa?».
Pensando ad eventi più recenti, guardate come si è rimessa in sesto la città di New Orleans dopo il devastante uragano Katrina, oppure la città industriale di Detroit dopo il crollo del mercato dell’auto. È necessario dunque far leva sui problemi per creare soluzioni completamente nuove.
Viva la concorrenza!
La Firenze rinascimentale è famosa per essere stata culla di accese rivalità e faide. I due giganti dell’epoca, Leonardo e Michelangelo, non potevano tollerare l’un l’altro, ma forse proprio questa sana sfida li spinse a dare il meglio. Stesso effetto ebbe lo scontro pluridecennale tra Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi.
Perciò bisogna sempre ricercare i propri competitor, ed ingaggiare con loro una sana sfida di mercato.
La Firenze del XV secolo ha perciò molto da insegnare all’ecosistema delle startup e innovazione: abbiamo in casa un modello straordinario, non guardiamo sempre e solo all’Oltreoceano.
Luca Scarcella