Altro debito, almeno 10 miliardi (lo 0,6% del PIL), per finanziare il decreto per la ripartenza
Si va verso la possibilità di un terzo scostamento di bilancio in cinque mesi. Dopo gli oltre 80 miliardi dei primi due decreti, per la ripartenza il governo ha bisogno di ottenere l’ok dal Parlamento per indebitarsi di almeno 10 miliardi, lo 0,6% del PIL. Con ogni probabilità , si parlerà anche di questo agli Stati generali, la discussa e tribolata kermesse che Giuseppe Conte ha voluto organizzare per capire come investire i soldi che arriveranno dall’Unione europea (non se ne conoscono ancora né il quantum, né le condizioni o le tempistiche) con il Next Generation Eu (ex Recovery Fund).
Un terzo scostamento è nell’aria
Gli indizi per un terzo scostamento di bilancio ci sono tutti. “Dobbiamo essere pronti a intervenire”, ha detto in settimana il presidente del Consiglio Conte promettendo un “piano concreto per correre”. Sono due i fronti che preoccupano ora il Governo. Li ha identificati il ministro all’Economia Roberto Gualtieri: anzitutto, “bisognerà aumentare le risorse al Fondo di garanzia sui prestiti”, perché la ripresa industriale stenta a farsi vedere.
Roberto Gualtieri
E poi c’è il tema della cassa integrazione che si farà ancora più pressante quando salterà il divieto imposto ex lege ai licenziamenti. Ed ecco che da via XX Settembre si promette che sarà erogata “finché serve”. Fiumi di denaro pubblico che la viceministra all’Economia, Laura Castelli, parlando al Corriere della Sera, quantifica in “una decina di miliardi”.
Le falle da tappare con il nuovo scostamento di bilancio
Castelli precisa comunque che “è prematuro fissarsi su una cifra”. Del resto, lei stessa spiega che le falle da tappare sono davvero tante: “probabilmente 3 miliardi per gli enti locali, che devono chiudere i bilanci a luglio facendo fronte al calo delle entrate” poi “dovremo intervenire ancora a sostegno del turismo, in particolare delle aziende più piccole, del commercio e dell’artigianato” e “potrebbero essere necessarie nuove risorse per la cassa integrazione e per garantire la ripartenza della scuola”.
Debito pubblico verso il 160%
Strappare quell’assegno all’Italia costerà parecchio. Soprattutto considerato che quei soldi, al pari degli 80 miliardi già elargiti finora, nelle casse dello Stato non ci sono. In meno di sei mesi stiamo spendendo l’equivalente di quattro leggi di Bilancio, che di norma bastano a finanziare la spesa pubblica di un anno intero. Una accelerazione nell’indebitamento che porterà il rapporto debito – prodotto interno lordo al 160%. In emergenza tutto è concesso, ma se il Patto di Stabilità europeo – che fissa regole stringenti della spesa in proporzione alle entrate – non sarà rivisto prima della sua riattivazione, prevista per l’inizio del nuovo anno (con ogni probabilità verrà comunque posticipato), nel 2021 lo Stato sarà costretto ad alzare drasticamente le tasse per rientrare nei parametri. E probabilmente non basterà nemmeno.
Perché rifiutare i soldi del MES?
Non si comprende perché il governo si ostini, per motivi squisitamente politici, a rifiutare i 37 miliardi di prestiti del MES. Restituire quei soldi per noi sarebbe molto più conveniente che emettere altri titoli di Stato, come ha detto a più riprese il commissario all’Economia Paolo Gentiloni. Lo stesso numero 1 del Fondo salva Stati, Klaus Regling, in settimana è nuovamente intervenuto per ribadire che si tratta di un finanziamento a zero condizioni. Eppure l’argomento continua a dividere la maggioranza: per i 5 Stelle è un tabù su cui sembrano persino intenzionati a mettere a rischio il governo. Conte in più occasioni ha affermato che, prima di decidere, “leggerà le carte”. Ma a quanto pare non le ha ancora lette, il tempo scorre e noi abbiamo bisogno di quei soldi.