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Spesso l’investimento nel venture capital viene confuso e/o assimilato all’investimento nelle singole startup, o peggio, giudicato nelle sue performance di breve periodo. Facciamo chiarezza
“Adatto solo a investitori professionali”, “un po’ troppo rischioso per il privato”. Spesso, quando si parla del venture capital come possibile categoria di investimento, vengono sottolineate queste caratteristiche. In realtà un fondo di venture capital tende a realizzare un portafoglio diversificato che sul medio termine riduce di molto il rischio. E proprio il rendimento finale, nel lungo periodo, ripaga del rischio sostenuto. Con il valore aggiunto di questa asset class di finanziare la crescita del Paese e le imprese giovani e innovative.
VC e investimento nelle sigole startup
Spesso infatti l’investimento nel venture capital viene confuso e/o assimilato all’investimento nelle singole startup, o peggio, giudicato nelle sue performance di breve periodo. Nel primo caso infatti e a differenza di un fondo, che normalmente seleziona tra 10 e 20 società, l’impegno in una o poche società e senza avere importanti risorse finanziarie espone l’investitore ad un rischio importante di perdere parte se non tutto il capitale.
Nel secondo caso invece non si tiene conto della cosiddetta J Curve: un gestore di VC impiega i primi 2-4 anni a selezionare i nuovi investimenti. Alla fine di quello stesso periodo sceglie all’interno delle società del portafoglio quelle che avranno le maggiori opportunità di crescita e quindi di rendimento, andando a svalutare le altre. In tal senso quindi c’è un primo periodo in cui di fatto si vedranno solo i costi di gestione e la svalutazione degli investimenti meno performanti. Mentre il rendimento si vedrà nel medio termine, come dire… Roma non è stata costruita in un giorno!
Il combinato disposto di questi due effetti ha spesso portato, soprattutto in Italia, a valutare affrettatamente gli investimenti di venture capital, attribuendo quindi giudizi di eccessiva rischiosità e/o di limitato upside: ma come spesso abbiamo detto, infatti, il venture capital è un capitale “paziente” perlomeno per quanto riguarda i rendimenti.
Ma vediamo di dare corpo a queste tesi, riempiendole di numeri. Partiamo dal rendimento. Il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) nel periodo tra il 2007 e il 2014 ha fornito circa il 10% di tutto il capitale arrivato alle imprese europee di VC (1 euro ogni 18 investiti in start-up). Ebbene, il FEI ha condotto un’analisi su un campione di circa 3.600 dei propri investimenti sostenuti tra il 1996 e il 2015. Il risultato su un anno sembra essere poco vantaggioso: il tasso di rendimento dei fondi VC in cui investe il FEI è dell’11,43%, e quindi si contrappone ai tassi raggiunti dai più famosi indici del marcato azionario: il 14,87% per Msci e il 17,7% dell’S&P 500. Ma nel lungo periodo, che è poi l’orizzonte peculiare dell’investimento in start-up, il FEI batte tutti: il ritorno sull’investimento è dell’8,52%, contro il 5,97% dell’Msci e il 7,51% dell’S&P 500.
Il FEI nota anche che il 70% delle exit avviene in perdita, l’8% si chiude in pareggio e solo il 20% del totale degli eventi è profittevole e liquido. Ma, d’altro canto, sottolinea che il 4% delle exit ha reso più di 5 volte l’investimento: e questo 4% genera circa il 50% del rendimento dell’aggregato. Questi numeri non sono casuali. Seguono la cosiddetta della power law, ovvero la regola secondo cui in un paniere di società su cui investire ce ne deve essere una – o un gruppo – il cui rendimento atteso sia superiore a quello di tutte le altre. L’unicorno che da solo fa il lavoro della squadra.
Ma allora conviene investire in venture capital in Italia? Sì, perché l’approccio del gestore di fondi di venture capital è proprio quello di ricercare portafogli equilibrati e adatti anche a profili di rischio meno aggressivi. Ad esempio, usare un processo che ricalchi il modello dell’asset allocation praticato dalle società di gestione del risparmio con prodotti tradizionali. È bene tenere a mente che il venture capitalist ha dalla sua parte una visione ampia e articolata di un mercato (quello delle startup e delle PMI innovative) a cui difficilmente l’investitore ha accesso.
Con P101, ad esempio, studiamo ogni anno migliaia di aziende, che spesso vengono monitorate nel tempo prima di essere oggetto di un investimento, e selezioniamo le migliori in base al momento di mercato, alle idee sottostanti, alle persone, ai fondamentali su cui si basano e appunto anche in base al loro contributo e peso all’interno di un portafoglio che cerchiamo sempre di bilanciare.