Tra gli ospiti a calcare le scene di SIOS e i volti più noti di Hoopygang, influencer management platform & creative company, Dino Lanaro, attore e presentatore racconta a StartupItalia cosa voglia dire essere creator di contenuti digitali. “Penso che sia sbagliato lavorare soltanto su una piattaforma online. Se TikTok sparisse, che cosa fareste?”
Presentatore, attore, content creator. Dino Lanaro lavora in TV da quando aveva 20 anni, poi ha scoperto TikTok. Oggi è un content creator a tutto tondo. Ha partecipato al nostro SIOS Winter Edition, all’interno del panel “The new creator economy“, assieme alla giornalista di moda e tiktoker, Letizia Schätzinger, e all’imprenditore digitale Alessandro Concini. In quell’occasione ci ha raccontato l’impatto dei social network nella sua quotidianità e come è arrivato a essere un creatore digitale. Una passione nata per gioco che oggi è un lavoro. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare meglio la sua storia: come si è approcciato all’universo TikTok e come è riuscito a diventare un digital creator che oggi conta più di 209mila followers su TikTok e più di 70mila su Instagram.
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Dino, come sei approdato nel mondo dei social?
Nel periodo del lockdown ho iniziato a fare video divertenti: così è iniziata la mia avventura come creator. Ho scoperto TikTok quando era ancora “musical.ly” – In realtà lo avevo fatto per controllare mia figlia! – Poi ho riscontrato, sin da subito, successo e ho continuato, sempre per gioco. Quel gioco oggi è diventato un lavoro. Si dà per scontato che creare un video sia semplice con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Per me non è stato così: saper creare un buon video significa avere delle buone basi di regia e recitazione. Un grande lavoro che devi sbrigarti da solo. In questo senso, mi sento avvantaggiato, avendo lavorato in TV da quando ho 20 anni. Oggi, oltre ad essere un content creator, lavoro come doppiatore di serie di Netflix e videogiochi. Mi piace molto presentare anche se la mia formazione è stata da attore.
“Quel gioco oggi è diventato un lavoro”
Tu sei laureato in Architettura, come ci avevi raccontato durante SIOS Winter Edition, come sei arrivato in TV e, poi, sui social?
Quando avevo 18 anni non mi interessava fare TV. Una mia amica, per gioco, un giorno mi portò a fare un provino per una pubblicità e sono stato preso. E’ stato un sogno; ho iniziato a studiare recitazione a Milano anche se la passione dell’Architettura me la porto dentro da sempre. Pertanto, mentre studiavo all’Università ho iniziato a lavorare in programmi per bambini a Mediaset. Nel 2003, il primo programma, poi Gamerland, dal 2012 al 2015. Ho fatto soap opera, un paio di film, programmi TV, doppiaggio e pubblicità. Per fare l’attore a 360 gradi, alla fine, avrei dovuto trasferirmi a Roma mentre io non volevo uscire da Milano; pertanto ho deciso di intraprendere questo percorso. La TV degli anni ’90 è completamente diversa rispetto a quella di oggi e al mondo dei social , dove tutto è più frenetico, accelerato, e la capacità di sintesi è fondamentale. Ho imparato a raccontare qualcosa in 10/15 secondi. Mi ricordo che fui uno tra i primi a proporre le interazioni social nei programmi TV (in quel tempo andava per la maggiore Twitter); oggi questa mia idea è diventata un format.
“Sono stato uno tra i primi a proporre le interazioni social nei programmi TV. Oggi questa mia idea è diventata un format”
Che cosa significa, per te, essere un content creator?
Mi preme distinguere la figura dell’influencer da quella del content creator: “influencer” ci puoi diventare senza rendertene conto, mentre io preferisco di gran lunga il “content creator”, che non interagisce per “influenzare” qualcuno ma per “intrattenere” su temi differenti.
Perché per te è importante essere presente sui social?
In questi anni ho visto la TV ridimensionarsi e il web crescere. La mission, però, resta sempre una: arrivare alla community. Ho imparato il linguaggio di TikTok, che è completamente differente da quello che utilizzerei nel quotidiano e penso che, oggi, per arrivare davvero alla community l’utilizzo dei social sia indispensabile. La stessa TV ha creato nuovi format che legano il proprio palinsesto alla presenza online.
Quale sarà, secondo te, il futuro dei social?
Il punto è: se domani TikTok non esistesse più, che faresti? Ritengo che, indipendentemente da come si delineeranno gli scenari, non si possa strutturare il proprio lavoro unicamente su una singola piattaforma. D’altro canto, i video oggi hanno superato, di gran lunga, le foto, e penso che restituiscano un’immagine della realtà un po’ più veritiera. Birial, ad esempio, adesso sta riscuotendo un grande successo perché mostra una parte più realistica, istantanea, al contrario dei filtri di Instagram. Credo che ci sia, in questo senso, un ritorno alla vita “reale” e che gli utenti, oggi, vadano sempre più in questa direzione. Sono stanchi di vedere storpiature della realtà e video e foto artefatti. Penso che i social del futuro potrebbero prendere questa direzione anche se non ho le competenze per dirlo con certezza.
Hai mai subito pressioni da parte di haters e, se sì, come le hai affrontate?
Ricordo che quando lavoravo in radio avevo una hater che mi scriveva tutti i giorni. Allora, a un certo punto, ho cominciato a risponderle. Per farla breve, è finita che questa persona ha aperto un pagina di fanclub che anche oggi continua a essere molto seguita. In un’altra occasione, sempre quando lavoravo in radio, mi è capitato che mi chiamasse una persona che diceva di volersi suicidare. Sono stato per due ore in diretta con lui, poi è finita bene! Questi sono soltanto un paio di esempi per far capire che dietro alla maschera dell’hater, spesso, si cela una persona che richiede attenzione e cerca solo una cosa: visibilità. Tutt’oggi sono ancora tanti a scrivermi cose negative; se avessi tempo risponderei a tutti: sono convinto che raggiungerei un risultato positivo; a meno che non si tratti di persone psicologicamente instabili.
“Spesso dietro alla maschera dell’hater si cela una persona che richiede attenzione”
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