Il numero 1 dell’Associazione Editori e Sviluppatori Italiani a StartupItalia!: “L’ostacolo maggiore è la mancanza di finanziamenti, ma il legislatore ha iniziato ad aiutare il settore. Chi vuole fare videogames resti coi piedi per terra”
L’industria tricolore dei videogiochi è espansione, eppure ha ancora parecchia strada da fare. Se, nel mondo, l’indotto supera i 90 miliardi di dollari, in Italia ci aggiriamo ancora tra l’1 e l’1,6. Decisamente troppo poco, soprattutto se dovessimo comparare queste cifre a quelle inglesi, francesi o polacche. Anche nella “vecchia” Europa, infatti, sono numerosi i Paesi che hanno iniziato a capire ben prima di noi le opportunità offerte da un settore a lungo ingiustamente denigrato e che quotidianamente provano a competere con le produzioni nipponiche e statunitensi.
L’edizione 2018 degli Italian Video Games Awards ha però dimostrato che il mercato è in fermento e che l’estro creativo italiano viene apprezzato in tutto il mondo: i dati di vendita di Mario + Rabbids Kingdom Rabbids sviluppato all’ombra del Duomo di Milano, le sensazioni suscitate dal poetico The Last Day of June ideato a Varese e l’entusiasmo con cui è stato accolto il romanissimo Downward lo testimoniano.
Abbiamo intervistato l’avvocato Thalita Malagò, direttore generare di AESVI, l’associazione che riunisce gli editori e gli sviluppatori del Bel Paese, per capire qual è lo stato di salute del settore nostrano.
Thalita Malagò, direttore generale di AESVI, durante gli Italian Video Game Awards
Dottoressa Malagò, anzitutto, quante sono le startup che si occupano di videogiochi in Italia secondo i dati raccolti dall’AESVI?
Nell’ultimo censimento che abbiamo condotto nel 2016 abbiamo rilevato la presenza di oltre 120 studi di sviluppo videogiochi in Italia. Oltre il 60% degli studi ha dichiarato di essere una start up, ovvero di essere in attività da meno di tre anni, contro il 45% della rilevazione precedente.
Quali sono i più grossi limiti lamentati da chi prova a fare impresa nel settore?
L’ostacolo principale lamentato dalle imprese del settore è la mancanza di finanziamenti. Oggi gli studi di sviluppo di fatto si autofinanziano, il contributo da parte di investitori privati o pubblici è molto residuale per non dire sostanzialmente assente. Questo è un aspetto di fondamentale importanza per lo sviluppo del settore in Italia.