Intervista alla top manager a capo della comunicazione di Monini: “L’elemento distintivo per essere una grande azienda è la genuinità, la trasparenza, l’amore per la propria terra e comunità. Non mi fermo mai e neppure ci penso, anche quando vedo le mie amiche andare in pensione”
“L’olio è la mia vita, è nel mio Dna, ce l’ho nel sangue. Questa stessa azienda scorre nelle mie vene: ho dato tutto quanto di utile e proficuo potessi dare e continuerò a farlo”. Mariaflora Monini è la responsabile Immagine, Comunicazione e Relazioni Esterne di Monini Spa, che nel 2020 ha celebrato i suoi primi cent’anni di vita. Fondata da suo nonno, Zefferino Monini, l’azienda è passata al padre Giuseppe ed ora è affidata a lei e al fratello Zefferino, presidente e amministratore delegato.
Un esempio di realtà familiare, che porta avanti la storia dell’impresa e la traghetta al meglio nel futuro, come lei stessa ha raccontato a “BreakfaStories”, le colazioni in diretta streaming organizzate da OBE in partnership con PHD.
Come ha iniziato il suo percorso nell’azienda di famiglia?
Sono cresciuta tra gli ulivi ed era naturale che questo un po’ mi condizionasse. Sognavo però di viaggiare per conoscere altre tradizioni ed altre culture. A Spoleto si stava bene, ma era una realtà di provincia e il Festival dei Due Mondi, che aveva collocato il nostro paese su un palcoscenico internazionale, mi faceva entrare in contatto con realtà lontane ed affascinanti: da piccola mi capitava di vedere Rudolf Nureyev giocare a carte al bar oppure Allen Ginsberg che suonava il bongo. Dopo il liceo classico, mi sono trasferita a Roma per frequentare l’università, prima Biologia, poi Economia: mi sono ritrovata a essere indipendente in una grande città, è stato inebriante, ma questo ha contribuito a confondermi le idee. Allora mio padre, con lungimiranza, mi ha chiesto di dargli una mano in azienda. Avevo 21 anni. Ho accettato, ma alle mie condizioni: ‘Fammi seguire le vendite all’estero’, gli ho detto.
Lui l’ha accontentata?
Sì, mi ha buttata nell’oceano, probabilmente pensando: ‘Se non affoga, impara a stare a galla’. E io me la sono cavata. Dagli Stati Uniti al Giappone, passando per la Danimarca ed altri Paesi Ue, sono stata accolta bene, sia perché offrivo un prodotto di qualità, sia perché mi ponevo per quella che ero: friendly, trasparente, diretta, come sono ancora oggi in realtà. Non avevo certo l’atteggiamento della proprietaria dell’impero economico di famiglia e, oltretutto, sembravo anche più giovane della mia età. Credo che tutto questo abbia contribuito a farmi sentire apprezzata e rispettata, consentendomi di instaurare un rapporto con i clienti vero e genuino.
Quando ha iniziato a seguire la comunicazione e le relazioni esterne?
Dopo otto anni trascorsi a viaggiare, è nata la mia prima figlia e, contemporaneamente, una quota di minoranza dell’azienda è stata ceduta alla Star (era il 1988; nel 2002, dopo 14 anni, Zefferino e Mariaflora hanno riacquisito la quota, ndr), che ha impresso una visione più manageriale e strutturata a quella che fino a quel momento era stata un’azienda a conduzione strettamente familiare. Serviva una figura che seguisse la comunicazione e la pubblicità, così ho assunto io quel ruolo, che mi permetteva di liberare anche il mio lato più creativo. In fondo, ero figlia del Carosello e fin da piccola chiedevo a mio padre come mai il nostro olio non venisse reclamizzato in quello spazio televisivo.
Come interpreta il suo ruolo di leader oggi?
Credo che l’essere me stessa sia premiante, perché trasferisco con naturalezza all’esterno quella che è davvero la nostra realtà: una grande azienda, coltivata nel tempo con amore. Anche mio fratello è così, mi piace definirlo un uomo in giacca e cravatta con gli scarponi sporchi di fango. Ogni giorno segue personalmente la produzione: guarda gli ulivi, osserva la raccolta, controlla la frangitura, assaggia e seleziona l’olio in prima persona. La disponibilità a metterci la faccia e il desiderio di trasmettere la propria passione possono fare la differenza, insieme alla lealtà, al buon senso, all’umiltà e alla capacità di riconoscere i propri limiti. Io, per esempio, devo ammettere di essere stata fortunata perché ho potuto scegliere quello che volevo e di questo ringrazierò sempre mio padre.
“La disponibilità a metterci la faccia e il desiderio di trasmettere la propria passione possono fare la differenza”
Quali sono i punti di forza della leadership al femminile, invece?
Per natura noi donne abbiamo un grande senso pratico e una spiccata capacità di essere multitasking, che si ritrova in ogni ambito della nostra vita.
Che ruolo hanno avuto le donne nella storia di Monini?
Zefferino senior ha avuto quattro figli maschi e, come da cultura dell’epoca, ha atteso a lungo che arrivasse il nipote maschio, ovvero mio fratello e figlio di suo figlio Giuseppe, suo designato, nato dopo cinque cugine femmine, per vedere assicurata la successione. Già si sapeva che sarebbe stato lui l’erede della dinastia dopo mio padre, perché in questo mio nonno è stato molto tradizionale. Un’idea che mi faceva ingelosire: fin da piccola sono stata una grande contestatrice ed avevo davanti a me l’esempio della mia nonna materna, nata nel 1906, che sciava, andava a caccia, suonava il pianoforte, era una donna avanti, come mia madre. Con il tempo ho cercato di ritagliarmi uno spazio, puntando su quello che ero certa di poter fare, in modo complementare a mio fratello. D’altro canto devo riconoscere che mio padre, nonostante l’impostazione patriarcale, in azienda si è circondato di donne in tanti settori, come gli acquisti e l’amministrazione, perché ne riconosceva la predisposizione alla concretezza. Anche oggi abbiamo una buona presenza femminile tra le impiegate, un po’ meno nella produzione, perché ci son ancora ruoli che purtroppo sono visti come prettamente maschili, il guidatore del muletto per fare un esempio.
Alle giovani di oggi che cosa consiglia?
Innanzitutto, per quel che vedo nei luoghi che frequento, posso dire che le giovani di oggi sono molto brave, nel vero senso della parola. Hanno le idee chiare, sono forti e indipendenti, sanno farsi rispettare. In ambienti molto competitivi gli uomini si sentono impauriti, per questo spesso evitano di confrontarsi o di dare loro il giusto riconoscimento. Il mio consiglio? Never give up. Credete in voi stesse e abbiate la forza, la tenacia e la testardaggine di andare avanti.
“Un consiglio alle giovani di oggi? Credete in voi stesse e abbiate la forza, la tenacia e la testardaggine di andare avanti”
Si sente una unstoppable woman?
Io non mi fermo mai e neppure ci penso, anche quando vedo le mie amiche andare in pensione. Forse sarà perché non ho altri hobby, la mia passione è questa. Certo, nel mondo della comunicazione a volte mi sento un po’ stanca, perché molte cose sono profondamente cambiate, ed è giusto lasciare spazio a menti fresche e giovani. Per questo cerco di delegare e intanto io mi assicuro che in azienda sia tutto a posto, un po’ come faceva mio padre.
Che cosa è cambiato maggiormente da quando ha iniziato a occuparsi di comunicazione?
L’esposizione delle persone alla comunicazione è decuplicata: quando ho cominciato io c’erano una manciata di reti televisive e la carta stampata aveva un ruolo centrale, mentre oggi i canali digitali sono migliaia e l’attenzione si è trasferita sui social. Forse la radio ha subito le trasformazioni meno radicali. Oggi, anche nel caso di un messaggio semplice, come possono essere gli auguri di Natale o l’annuncio dell’assegnazione di un premio all’azienda, bisogna decidere come muoversi su tutti questi canali, rivolgendosi a una pluralità di soggetti, e bisogna farlo in fretta, perché la comunicazione è diretta e immediata.