Il profilo di un personaggio pubblico controverso. Sarà ospite questa sera a Piazza Pulita, su La7
Steve Bannon, 68 anni, rimane una delle figure più influenti del panorama conservatore negli Stati Uniti e in Europa. L’opinione pubblica globale lo ricorda soprattutto per il breve periodo in cui ha servito come consigliere dell’ex presidente USA, Donald Trump. Ma la sua storia e il suo operato hanno avuto impatto ancora prima delle elezioni del 2016. E non ci riferiamo soltanto a quelle in cui ha perso Hilary Clinton, ma anche al referendum che ha sancito la vittoria di Brexit. Steve Bannon sarà ospite della puntata di questa sera, giovedì 21 aprile, di Piazza Pulita, il talk show in programma su La7. Personaggio poco incline a rilasciare interviste e più abituato a lavorare da dietro le quinte, sarà interessante ascoltare la sua opinione in merito all’attualità.
Steve Bannon prima della politica
Originario della Virginia, Steve Bannon ha avuto più vite, durante le quali ha lavorato nei settori più disparati. Laurea alla Virginia Tech con una tesi in urbanistica, è stato ufficiale in Marina, dove ha collaborato con il Pentagono per il quale stilava rapporti sulle condizioni delle flotte statunitensi nei mari di tutto il mondo; negli anni ’80 è passato all’accademia dopo aver conseguito un master in sicurezza nazionale alla Georgetown University e un MBA all’Harvard Business School. Sono ancora lontani gli anni di Breitbart, il magazine di destra che ha plasmato per anni prima di entrare alla Casa Bianca.
Ha fatto esperienze in banche di investimento ed è perfino stato produttore, regista e sceneggiatore a Hollywood, lavorando a oltre 30 film. Nei primi anni Duemila ha fatto parte dell’Internet Gaming Entertainment, alla quale era riuscito a garantire un investimento da 60 milioni di dollari dalla Goldman Sachs, altra realtà dove aveva lavorato. Insomma, Steve Bannon ha conosciuto da vicino quei rappresentanti dell’establishment culturale, finanziario e politico contro cui si sarebbe scagliato negli anni ’10 del nostro secolo.
Cambridge Analytica
Questa biografia che abbiamo riassunto è stata ripresa da Il mercato del consenso, libro scritto da Christopher Wylie. Il nome forse non vi dirà molto. Sicuramente non tanto quanto vi dice Cambridge Analytica, la società di consulenza britannica poi chiusa al centro di uno dei più grandi scandali legati allo sfruttamento dei dati online a fini politici. Bannon ne è stato uno dei fondatori. «Conquista i britannici e conquisterai gli Stati Uniti», avrebbe detto Bannon a Wylie agli esordi come ha scritto nella sua autobiografia. L’obiettivo ultimo era sfruttare i dati degli utenti, ceduti dalle piattaforme, per delineare profili affidabili di elettori, da influenzare con comunicazioni mirate attraverso social e web.
Come poi avrebbe più volte detto lo stesso Bannon, lo sfruttamento dei dati era ed è diffuso a tutti i livelli in politica e sarebbe ingenuo pensare riguardasse e riguardi soltanto la destra. Prima che lo scandalo scoppiasse già esistevano società attiva nel campo dei dati: come Palantir, fondata dall’ex di PayPal Peter Thiel, che aveva battezzato la propria azienda con il nome delle pietre veggenti dell’immaginario tolkieniano de Il Signore degli Anelli. A interessare erano i comportamenti futuri delle persone, da plasmare o influenzare con operazioni mirate.
Nel 2018 un’inchiesta congiunta pubblicata da Guardian, New York Times e Channel 4 denunciò però le attività di Cambridge Analytica, che si era impossessata illegalmente di dati di decine di milioni di persone per fini elettorali. All’epoca Steve Bannon non era più consigliere di Trump. Il dibattito che ne è scaturito, nel pieno della presidenza Trump, non ha fatto cambiare idea ai sostenitori del tycoon. D’altra parte non è mai facile riconoscere e ammettere quanto social e Big Tech abbiano un’influenza sulle nostre attività e sulle nostre opinioni (e questo vale per qualsiasi tipo di orientamento politico).
Il Gamergate e Breitbart.com
Si discute di fake news da anni. Denunciate dai progressisti contro i sovranisti, sono diventate a loro volta strumenti dell’alt right per rispondere a ogni forma di accusa, bollandola appunto come fake news. Quando ancora aveva un profilo su Twitter l’ex presidente Trump ribadiva spesso questo concetto per replicare ai democratici. Non si contano i magazine online che hanno spesso puntato su fake news e notizie manipolate. Breitbart.com, fondato nel 2005 da Andrew Breitbart (scomparso nel 2012) è stato più volte presentato come un giornale che diffonde notizie false. Dieci anni fa Steve Bannon ne divenne il senior editor.
I toni urlati, le insinuazioni, i meme per ridicolizzare l’avversario sono purtroppo aspetti della politica e del dibattito a cui siamo abituati da anni. Uno dei primi scandali che contribuì a plasmare la filosofia alla base di Breitbart è stato il Gamergate, nel 2014. Si parla di videogiochi, uno dei mercati più floridi e ricchi del pianeta, che sempre di più si sta aprendo a nuovi linguaggi, con una logica di inclusione matura. All’epoca tuttavia diverse sviluppatrici e donne dell’industria avevano lamentato la cultura misogina del settore, anche per quanto riguarda le stesse trame dei titoli. In risposta vi fu un’ondata di odio online, cavalcato da quella fetta di stampa che tuonava contro il politicamente corretto e quella che veniva vista come ideologia femminista.
In Europa Steve Bannon ha raccolto il sostegno di diversi leader conservatori e ha incontrato politici italiani come Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Non sono mancate le sue accuse contro l’UE e Bruxelles. Ad oggi non ha un profilo social. La sua presenza questa sera su un’emittente italiana ci potrebbe dare un’idea su come una certa area politica si sta preparando per i prossimi grandi appuntamenti elettorali.