La Puglia ha lanciato la prima Agenda di Genere, un documento con cui si impegna a ridurre, poi ad azzerare, le discriminazioni legate al gender gap. Un piano di azioni che attraversano verticalmente la scuola e il lavoro, le politiche sociali e quelle per lo sviluppo economico, la cultura e l’innovazione
Migliorare la vita delle donne e costruire le opportunità che oggi tutte loro meritano, per il bene delle donne stesse, certo, ma anche del Paese, perché sprigionare il potenziale ancora inespresso delle donne fa compiere un balzo sociale, economico, culturale all’intero sistema: è in queste parole-manifesto la missione dell’Agenda di Genere, l’innovativo, ambizioso piano che la Regione Puglia ha messo a punto costruendo un laboratorio progettuale pionieristico che ora chiama le altre Regioni a seguirla. L’Agenda di Genere – che è stata presentata durante il Women’s Equality Festival, evento sulla parità di genere che ha debuttato a Lecce e ha già annunciato per il prossimo autunno una nuova edizione – è infatti il primo documento regionale di programmazione strategica per combattere le disuguaglianze prodotto nel nostro Paese. Ne parliamo con chi ha tenuto le fila del gruppo di lavoro, l’onorevole Titti De Simone, oggi Consigliera del Presidente per l’attuazione del Programma e per l’Agenda di Genere.
Le disparità tra uomini e donne sono una delle ferite tuttora aperte del nostro Paese. Che soluzioni può produrre, nuove e diverse, l’Agenda di genere?
Non basta scrivere sulla carta che ci sono obiettivi anche ambiziosi e nobili da raggiungere per colmare il divario di genere o parlare di pari opportunità: occorre una strategia ancorata a una visione integrata e trasversale che faccia accadere i cambiamenti importanti e realizzare per davvero questi obiettivi, considerato anche che oggi possiamo godere di fonti di finanziamento straordinarie, come quelle previste dal PNRR. Noi puntiamo a migliorare la vita di donne e uomini, a creare pari opportunità di lavoro e di accesso ai più alti livelli di istruzione, a prevenire e contrastare ogni forma di discriminazione, a combattere la violenza di genere e, per farlo, proprio attraverso l’Agenda di Genere abbiamo voluto dotare la Giunta regionale, ogni Assessorato e le strutture tecnico-amministrative di un piano di indirizzo multidisciplinare e sistemico capace di orientare e connettere le diverse programmazioni. L’Agenda di Genere attraverserà, in maniera trasversale, tutte le policy e i documenti di programmazione.
E questo è l’aspetto più interessante. Voi dite: serve un approccio gender oriented in ogni atto della pubblica amministrazione.
Assolutamente. Le questioni che attengono alle discriminazioni di genere sono interconnesse. Le faccio l’esempio della transizione digitale, un vincolo di spesa del PNRR, una grande opportunità per il nostro Paese e per il Sud, ma che rischia di avvantaggiare solo gli uomini, visto che il digitale è da sempre un’area a forte occupazione maschile. Appunto per la già assoluta prevalenza degli uomini nelle professioni tecnologiche, se non prevediamo un’ottica di genere negli investimenti in quest’area rischiamo di creare posti di lavoro in più solo per i maschi, ampliando dunque ulteriormente, per paradosso, il già ampissimo divario di genere. Questa grossa criticità ne richiama un’altra, che ne è la causa: ovvero, l’accesso agli studi cosiddetti Steam, oggi praticati sostanzialmente dagli uomini. Se non abbatteremo gli stereotipi che, tendenzialmente, continuano ad associare le professioni tecnologiche ai maschi, se non cancelleremo i bias secondo cui le bambine non sono interessate alle materie scientifiche, se non allargheremo l’ingresso alle facoltà tecnico scientifiche a più ragazze – i bilanci di genere del Politecnico di Milano e Torino ci dicono che la percentuale delle ragazze frequentanti è ferma al 30% – ci condanneremo a un divario difficilmente recuperabile. Ripeto: la questione di genere deve attraversare tutti i campi di intervento e, infatti, con l’Agenda di Genere abbiamo fissato politiche di investimento trasversali dalla sanità alla formazione, dal welfare all’istruzione fino all’urbanistica con tutti gli interventi prioritari per i prossimi anni. Si tratta di una misura per noi cruciale, a maggior ragione oggi che il Covid ha inasprito i divari tra gli uomini e le donne – già prima della pandemia, l’Italia era agli ultimi posti in Europa per occupazione femminile, con la metà delle donne fuori dal mondo del lavoro, che al Sud crollano al 32,2% -, così come il divario tra il Nord e il Sud.
Un aspetto interessante della genesi di questo documento è il fatto che è stato costruito in maniera partecipata, collaborativa: al tavolo, oltre alla politica, c’erano le associazioni, l’università, le imprese, i centri antiviolenza…
Vero. Perché per noi questa deve essere l’Agenda di Genere della Puglia, non della Regione Puglia. Noi pensiamo che con una strategia condivisa poiché, appunto, abbiamo condiviso a monte gli obiettivi, ciascuno farà la sua parte.
Nell’Agenda di Genere, il tema del lavoro è destinatario di parecchi interventi. Cosa avete previsto, in particolare?
In Puglia abbiamo tassi di disoccupazione drammatici, nonostante un capitale umano straordinario. Attraverso l’Agenda di Genere investiremo sui saperi, le competenze e le capacità trasformative delle donne – le quali investono di più nella loro formazione di quanto facciano gli uomini -, perché è ormai assodato che senza l’apporto femminile non ci può essere vero sviluppo (la Banca d’Italia ha stimato che colmando anche solo metà dello scarto occupazionale tra donne e uomini, il PIL italiano crescerebbe del 7%, ndr). Per esempio, intendiamo svecchiare la formazione professionale, per aprirla di più a professioni di aree in espansione come il turismo, l’artigianato, il manifatturiero. Abbiamo previsto molte azioni per incoraggiare le donne a fare impresa, ad esempio, valorizzando anche alcune misure già esistenti come NIDI, il Fondo creato dalla Regione Puglia a favore delle Nuove Iniziative d’Impresa: il Sud è particolarmente ricco di imprese guidate da donne, penso al settore tessile, al turistico o all’agroalimentare e, quindi, noi svilupperemo NIDI Donna, espressamente pensato per le startup femminili. Di pari conto, agiremo anche sul welfare, sugli asili nido, il tempo pieno, i servizi di prossimità: se è vero che oggi gli uomini assicurano rispetto a ieri un maggiore supporto, il lavoro di cura continua a gravare sostanzialmente sulle donne, ma noi dobbiamo liberarle da questo carico, se vogliamo liberare il loro potenziale professionale.
Lei mette in luce il fatto che nessun atto deciso da un’amministrazione è mai neutro sul piano del genere, ma impatta in maniera diversa su uomini e donne.
È così. Pensiamo al tema dei trasporti pubblici, che vengono utilizzati da donne e uomini in maniera completamente diversa: ora, se io non comprendo questo nel momento in cui decido l’assetto della circolazione dei mezzi pubblici, finirò sempre per discriminare una parte. Ecco, l’ambizione dell’Agenda di Genere è anche di studiare in maniera oggettiva, direi scientifica i vari contesti per costruire un Gender Index e procedere con le valutazioni dell’impatto di genere, ovvero la verifica di come le varie misure amministrative impattano sulle donne: oggi noi produciamo già un Bilancio di genere, ma sviluppato su indicatori dell’Istat. Se noi ripensassimo l’urbanistica in chiave di genere, avremmo città molto diverse: avremmo città dove trasporti pubblici e asili nido sono a pochi metri, dove esistono asili condominiali, cohousing, banche del tempo, come già accade in molti Paesi. La nostra scommessa è andare in questa direzione, non certamente accontentarci di fare i parcheggi con le strisce rosa: è in questa direzione che vogliamo fare crescere la macchina amministrativa e preparare i tecnici a operare in un’ottica di genere, sapendo che progettare e programmare con una modalità gender oriented non fa bene solo alle donne, ma alla società tutta.