Sporche, fumose, chiassose, mal frequentate… chi è nato negli anni ’70 e ’80 c’è praticamente cresciuto dentro e forse oggi vorrebbe gestirne una. Una startup britannica lo permette
Alzi la mano chi, tra voi, ha frequentato abbondantemente almeno una sala giochi nel corso della propria infanzia. Sporche, fumose, chiassose, mal frequentate, pensate per spillare soldi alla gente… non erano certo posti adatti ai bambini, è vero, ma chi è appassionato di videogames ed è nato negli anni ’70 e ’80 c’è praticamente cresciuto dentro, dato che, all’epoca, prima che esplodesse il fenomeno delle console da salotto, erano il solo modo per giocare ai videogiochi e, soprattutto, di provare i primi assaggi dei mondi 3D. Nosebleed Interactive, startup inglese, ci consente di realizzare il sogno (?) di gestirne una…
Arcade Paradise, un tuffo nei fumosi e chiassosi anni ’80
Per la verità, Arcade Paradise almeno all’inizio ci calerà nei panni di un gestore di un’anonima e spoglia lavanderia a gettoni spersa nella periferia londinese. Impersoneremo Ashley, una ragazza all’apparenza indolente e svogliata, succube di un padre opprimente e dispotico che gestisce alcuni negozietti e a noi darà appunto questa topaia umida e sporca. In breve tempo, però, Ashley scoprirà di avere maggior fiuto degli affari del babbo, intuendo che le rendite dei tre cabinati che prendono polvere nel retrobottega sono perfino maggiori di quelle della lavanderia.
Passerà un bel po’ di tempo prima di arrivare ad avere una sala giochi vera e propria: i primi giorni vi vedranno alle prese con una routine quotidiana piuttosto snervante, fatta di bucati, pulizia del bagno, raccolta della spazzatura e dei calzini spaiati disseminati dai clienti…
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Ogni attività extra fa comunque guadagnare qualche spicciolo in più e, soprattutto, è strutturata a sua volta come un arcade anni ’80-90 (anche se ci saremmo risparmiati volentieri il minigame della cassaforte ogni volta che occorre depositare l’incasso giornaliero).
Ma i protagonisti reali saranno appunto gli arcade veri e propri: ingombranti cabinati che, pur non godendo delle licenze ufficiali, mettono comunque in risalto i generi più amati di quegli anni, talvolta fondendo più capolavori, come il mezzo Pac-Man mezzo GTA disponibile fin dall’inizio nel quale al posto dei fantasmini ci sono pattuglie della polizia e al posto delle caramelle fruscianti mazzette di dollari.
Se Arcade Paradise avesse beneficiato delle licenze originali sarebbe stato a dir poco sublime, permettendo realmente di entrare in una fedele riproduzione di una qualunque sala giochi degli anni ’80, ma anche così è più che godibile: anzi, la mancanza di nomi noti ha permesso agli sviluppatori interessanti variazioni sul tema che difficilmente risultano sgradite.
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La parte gestionale è limitata all’osso: si può decidere quanto costa una partita, la disposizione dei vari cabinati (da far giostrare in modo da affiancare quelli più popolari a quelli che fatturano meno, così da alzare i profitti dei secondi) e la loro difficoltà, mentre non occorre vedersela con spese di gestione, manutenzione e utenze che vadano a erodere quanto finisce nella cassaforte, ma con oltre 30 cabinati “d’epoca”, difficilmente si resisterà alla tentazione di giocarli in prima persona, facendo dunque caso ai difetti non strettamente connessi all’uso dei coin op.
Un plauso, poi, per la fedele ricostruzione di tutto ciò che è anni ’90: dai televisori alle pubblicità dell’epoca, fino alle pagine dei siti del web 1.0 (con tanto di rumore alla connessione del modem 56-k), la cura riposta in ogni singolo particolare è maniacale. Stona solo, in tutto ciò, la presenza di un orologio un po’ troppo intelligente e di un palmare che, sebbene dotato della grafica di un Nokia 3210, è decisamente fuori posto. Tutto il resto, però, è esattamente dove lo ricordavamo. E sono subito lacrimoni.