La startup innovativa Retro Forge debutta nel mondo dei videogiochi con un titolo vecchia scuola, nel bene e nel male
Se negli ultimi anni non fosse esplosa la mania per tutto ciò che era “pop” negli Anni ’80 e ’90, Stanger Things non sarebbe probabilmente mai diventata la serie campione di incassi che ben conosciamo e gli store digitali di Nintendo, Sony e Microsoft non sarebbero affollati da centinaia e centinaia di titoli in grafica dot che si rifanno alle pietre miliari uscite tra i 30 e i 40 anni fa su NES e su SNES. Nel filone, da oggi, c’è un nuovo titolo in più: Souldiers, sviluppato dai ragazzi di Retro Forge (un nome, un programma ben chiaro) e distribuito da Dear Villagers.
Souldiers, più che soldati, veterani
Tutto, in Souldiers, rimanda ai giochi dell’epoca d’oro delle console da salotto di Sega e Nintendo, dagli artwork, rigorosamente disegnati a mano e con lo stile che caratterizzava i titoli Capcom, alla difficoltà , terribilmente e caparbiamente elevata, talvolta perfino in modo crudele.
Per far digerire ai giocatori d’oggi la sua spietatezza, gli sviluppatori stessi definiscono Souldiers un soulslike, insomma, un Elden Ring dueddì (a proposito, letta la nostra recensione dell’ultima, immensa, fatica di FromSoftware?), ma di fatto il genere che più si avvicina è quello dei metroidvania.
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Souldiers infatti ci vedrà muovere lungo mappe sufficientemente labirintiche, nelle quali occorre potenziarsi prima di procedere oltre, tenendo sempre bene a mente le tante diramazioni dei sotterranei che attualmente sono precluse, perché in un secondo momento bisognerà senz’altro ritornare sui propri passi.
La caratteristica migliore di Souldiers riguarda la caratterizzazione delle classi del proprio alter ego. Nulla di realmente sbalorditivo (ma, del resto, Souldiers non ha come missione quella di innovare, dovreste averlo inteso), tuttavia ciascuna categoria (piuttosto classiche: soldato, mago e arciere) si dipana e si potenzia lungo alberi di abilità unici, che di fatto mutano profondamente l’approccio al gioco.
Potenziare il proprio eroe è una operazione soddisfacente e gratificante, soprattutto considerata la difficoltà media del gioco e le tante trappole, alcune involontarie, che un prodotto sviluppato da ragazzi al loro primo videogame di tanto in tanto tende. Parliamo, per esempio, del fatto che spesso ci si ritroverà impelagati in boss battle senza il minimo avvertimento e senza la possibilità di richiamare salvataggi automatici precedenti (valgono, non si sa perché, solo quelli manuali: tutti gli altri si sovrascrivono continuamente). Davvero frustrante quando si piomba nella stanza del cattivo di turno con un’unghia di salute e senza la dovuta riserva di pozioni. I boss, inutile dirlo, sono cattivissimi e dovranno essere studiati con attenzione.
La medesima cattiveria cui abbiamo già più volte accennato in questa nostra recensione di Souldiers la si riscontra al momento del game over. Abbiamo scelto di aprire questo articolo proprio con la schermata che diverrà la vostra ossessione per farvi intendere ciò che diverrà una costante nella vostra permanenza con il primo titolo dei ragazzi di Retro Forge.
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Il problema, però, non è tanto che in Souldiers si muore di continuo, quanto il fatto che essere morti è davvero troppo punitivo, cancellando tutti i progressi fatti fino all’ultimo salvataggio: un vero soulslike dovrebbe preservare almeno i traguardi più importanti raggiunti.
Carinissima la grafica, tanto l’aspetto del nostro alter ego, che varierà più volte per sottolineare anche esteticamente i potenziamenti raggiunti, quanto quello dei nemici: numerosissimi e spesso di dimensioni generose. Anche i fondali non sono affatto male e risultano sempre mediamente ispirati, benché Souldiers non faccia nulla per evadere dagli stilemi dei titoli medievaleggianti-fantasy (e infatti abbonda di segrete zeppe di scheletri, ragni, ghoul, draghi…).
Souldiers non è perfetto e nemmeno sarebbe giusto che lo fosse, essendo il primo titolo di una software house che si lancia ora sul mercato. Probabilmente il suo limite più grande è quello di restare intrappolato nel suo desiderio di non innovare, non riuscendo così a presentare alcun elemento dirompente che possa permetterci di ricordarlo dopo averlo giocato (se non per la sua cattiveria, appunto). Tuttavia, finché avrete voglia di rialzarvi dopo ogni caduta, saprà divertirvi e appassionarvi.