Essere invitate a 25 anni al Women’s Forum di Parigi il prossimo 29 e 30 novembre è vedersi riconoscere l’X factor. E in effetti, Arianna Vignetti, romana, classe 1997, laurea in Global Studies alla LUISS è un talento in crescita, una outsider dell’equità di genere, materia ormai nell’occhio del ciclone, diventata com’è una questione all’attenzione delle organizzazioni di tutto il pianeta. It’s time to act for equality and break the glass ceiling once and for all, scandisce chiaro il claim di questa diciassettesima conferenza annuale del Women’s Forum, evento internazionale che da tutto il mondo spinge ogni anno a Parigi donne che abitano i vertici di istituzioni importanti e grandi aziende e in cui, negli anni passati, hanno fatto sentire la loro voce anche leader come Ursula Von der Leyen e Christine Lagarde. L’obiettivo lo rilanciano oggi più chiaro che mai: spendere la propria posizione di influenza per rompere il soffitto di cristallo, per sempre e per tutte. Quest’anno temi caldi saranno la pace, il clima, la salute e le STEM. Arianna Vignetti è stata individuata, insieme ad altre 99 giovani outsider in tutto il mondo, in quanto fondatrice e leader di Road to 50%, l’organizzazione che include nel nome il suo obiettivo-manifesto. Ovvero, portare nei luoghi decisionali, della politica e delle istituzioni, più donne, almeno il 50% del totale.
Arianna, un commento a caldo.
Grande emozione. Un grande onore, che sento come cittadina e come leader di Road to 50%.
Road to 50%, appunto. Perché è nata?
È nata perché appartenere a un genere piuttosto che a un altro non può diventare causa di discriminazione. Ed è dunque nata per costruire campagne e progetti che favoriscano la partecipazione attiva delle donne mirata alle posizioni di leadership delle istituzioni, consapevoli che questa sia la strada maestra per allargare, poi, la presenza femminile nei posti chiave in tutti i campi.
La gender equality è un principio fondativo dell’Unione Europea e tre donne sono in questo momento ai vertici delle sue istituzioni: la maltese Roberta Metsola guida il Parlamento europeo, Ursula von der Leyen è presidente della Commissione, Christine Lagarde della Banca Centrale. Detto questo, le donne continuano a essere sottorappresentate nelle istituzioni, da quelle locali a quelle nazionali ed europee.
A noi, infatti, interessa fare una riflessione ampia sulla leadership. Noi lavoriamo per eliminare il il gap tra i generi, che è già un importantissimo traguardo, ma sappiamo che non basta portare nei posti decisionali un numero anche alto di donne per risolvere la questione dell’equità di genere: occorre che chi vi arriva porti anche tutta la ricchezza di cui le donne possono essere portatrici e operi avendo in mente di costruire equità di genere per tutte e tutti, ovunque, a tutti i livelli. E questo non sempre capita, dobbiamo dirlo. Se chi arriva ai vertici replica i vecchi modelli di leadership, quelli elaborati nei secoli dagli uomini perché sostanzialmente solo gli uomini vi sono arrivati, si perdono cruciali occasioni di cambiamento molto più ampie.
“Se chi arriva ai vertici replica i vecchi modelli di leadership, quelli elaborati nei secoli dagli uomini perché sostanzialmente solo gli uomini vi sono arrivati, si perdono cruciali occasioni di cambiamento molto più ampie”
Secondo te, perché capita?
Una delle ragioni è che quando le donne arrivano nelle posizioni apicali – facendo l’enorme fatica che tutte conosciamo – finiscono per mettere in secondo piano l’urgenza dell’equità di genere, proprio perché sentono che questo rischia di appannare, nella percezione collettiva, il merito dell’esserci arrivate. È un meccanismo paradossale, che spiega quanto non sia ancora vissuto come naturale e legittimo il potere rappresentato dalle donne. Un altro meccanismo incredibile, che è stato studiato, è quello che va sotto il nome della “Scogliera di cristallo”, quello per cui le donne vengono legittimate nelle posizioni apicali solo nei momenti di grande crisi e di impasse, quando a quel punto rappresentano l’ultima strategia da mettere in campo. Una sorta di ultima spiaggia. Il caso dell’inglese Theresa May per tutti.
C’è un Paese europeo a cui guardi come modello?
Per esempio la Svezia, che fa una politica estera femminista, che tiene di volta in volta conto dell’impatto che hanno sulle donne tutte le strategie internazionali che vengono adottate. Perché ormai sappiamo che ogni decisione presa dalle istituzioni non è mai neutra, ma impatta in modo diverso sulla vita delle donne piuttosto che su quella degli uomini.
A proposito di uomini, voi siete un’organizzazione di persone giovanissime, a cui prendono parte molti ragazzi.
Assolutamente sì, sono diversi e rappresentano una parte fondamentale. Insieme ci diamo da fare per costruire un approccio consapevole alla leadership, che metta in discussione il vecchio modello perché crea discriminazioni, e ne inauguri uno nuovo, capace di includere tutte e tutti. Naturalmente, insieme non lavoriamo solo sulla leadership, ma su un cambiamento più vasto, che costruisca equità nella società tutta e favorisca la partecipazione alla vita pubblica, già dalla scuola.
Tu hai fondato Road to 50% mentre studiavi, appunto. Cosa ti ha spinto a farlo?
Mi ero resa conto che c’erano molte ragazze impegnate nel sociale, ma quando si trattava di esporsi candidandosi in una lista non c’era nessuna o quasi che lo volesse fare. Nel mio liceo, su un migliaio di giovani che frequentavano, le ragazze impegnate attivamente erano sette e appena due, tra cui io, si erano candidate alle elezioni scolastiche. Io, poi, sono stata eletta, diventando la prima donna rappresentante d’istituto e lì ho provato sulla mia pelle quanta disparità si soffrisse da ragazze: l’avversione si esprimeva attraverso frasi ostili e sessiste o commenti sul mio modo di vestire.
“Diventando la prima donna rappresentante d’istituto, ho provato sulla mia pelle quanta disparità si soffrisse da ragazze: l’avversione si esprimeva attraverso frasi ostili e sessiste o commenti sul mio modo di vestire”
Come Road to 50% avete creato una grande campagna per rendere i mezzi pubblici sicuri, Tutti per uno, Mezzi per tutte. Perché avete scelto proprio questo tema?
Volevamo portare soluzioni su un tema importantissimo per le donne, quello delle molestie sui mezzi pubblici: sappiamo che le molestie si verificano, eccome, anche se perlopiù non vengono denunciate. Sul tema c’è un silenzio che non è più accettabile. Così abbiamo fatto una sorta di sondaggio, seppure empirico, scoprendo, per esempio, che a Roma il 70% delle donne dichiara di averle subite e abbiamo compreso che alcune fermate dei mezzi pubblici sono percepite come molto pericolose. Ora siamo in contatto con alcune istituzioni e aziende di trasporti e speriamo di avviare una campagna di comunicazione. Devo dire che mi ha colpito l’evoluzione di alcune ragazze che non ci conoscevano, ma che hanno deciso di darci una mano per portare il progetto nella loro città: ora sono coinvolte in maniera più assidua in Road to 50%. Segno che cominciare a coinvolgersi per cambiare le cose fa venire la voglia di cambiarle di più.