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Invecchiamento e malattie croniche, la sanità punta sulla medicina territoriale. Ecco gli strumenti che dovrà mettere in campo
La pandemia ha contribuito a evidenziare le lacune di un sistema disegnato in un altro contesto e le tante differenze dei vari approcci regionali.
Oggi occorre che la medicina si riavvicini e si integri nel territorio per affrontare le sfide del futuro.
Si tratta di una riorganizzazione importante, che deve assicurare equità di accesso alle cure su tutto il territorio nazionale.
Rafforzamento della diagnosi e della prevenzione. Garanzia della continuità di cura. Modifica dei percorsi terapeutici nell’ottica di una de-ospedalizzazione di quei momenti a bassa e/o media intensità di cura. Selezione e formazione del personale, in particolare dei medici di base, e informatizzazione dei sistemi. Sono 5 le direttrici che Federchimica ASSOBIOTEC ha individuato come strategiche per una efficiente ed efficace sanità del futuro, in occasione di uno dei due tavoli di lavoro dedicati alle life science, nell’ambito del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”, promosso dall’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie con il supporto di StartupItalia.
Un tavolo, con un focus sulla medicina territoriale, la governance e la produzione farmaceutica, che ha visto la partecipazione di rappresentanti di istituzioni, imprese, associazioni pazienti e rappresentanti del mondo della ricerca. Un dibattito aperto e partecipato che è stato arricchito dalle relazioni di alcuni attori di spicco del mondo biotech.
Invecchiamento e malattia
È necessario che la medicina si alleni alla prossimità perché ci troviamo di fronte a una popolazione che invecchia. L’Italia è una delle nazioni più longeve a livello europeo: ha un’aspettativa di vita pari a 81 anni per gli uomini e 85,3 anni per le donne nel 2019.
I dati dell’ultimo studio Censis – Janssen, “I cantieri della sanità del futuro”, indicano che in Italia, nel 2041, ci saranno oltre 19 milioni di anziani, con un incremento del 38,5% (+ 5,4 milioni).
Ma la sfida da affrontare non è solo l’invecchiamento: sono le malattie che porta con sé. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che l’80% delle spese sanitarie nel prossimo futuro saranno assorbite dalle condizioni di cronicità. E non riguarderanno solo gli anziani, dato che l’età di insorgenza delle malattie croniche si sta abbassando.
Secondo il rapporto Osservasalute 2020, il 40.8% della popolazione italiana è affetto almeno da una malattia cronica, il 21,5% da due o tre patologie croniche. Ne consegue una diminuzione della qualità della vita e un aumentato bisogno di assistenza sanitaria.
Occorre, dunque, pianificare interventi organizzativi e di policy per far fronte alla crescente richiesta di servizi domiciliari. Questi ultimi sono saliti, negli ultimi cinque anni, con un tasso pari al +30% nelle regioni del nord, +35% nel sud e nelle isole, mentre sono in controtendenza al centro (– 7%).
“Pensare al territorio significa innanzitutto pensare alla vicinanza nei confronti del paziente”, sottolinea Luigi Boano, Amministratore Delegato di Novartis Oncology e Vicepresidente Assobiotec. “Ridisegnando la medicina del territorio si può connettere in modo virtuoso l’ospedale con la medicina di base o altri specialisti del territorio. L’obiettivo è quello di creare e ridisegnare il patient’s journey”, aggiunge Boano. Si passerebbe quindi da una visione in cui al centro della cura c’era l’ospedale a un nuovo approccio, in cui la sanità delega agli ospedali la cura della fase acuta e dei casi complessi.
“Non sarà più il paziente che si reca nel centro di cura, ma l’assistenza sarà capillare sul territorio, per dare alle persone la possibilità di essere seguite nel loro percorso di salute. È un approccio sostenibile della medicina, anche dal punto di vista ambientale”, commenta Massimo Magi, segretario per la regione Marche della FIMMG, Federazione Italiana Medici di Medicina Generale.
Garantire continuità assistenziale
Per potenziare lo sviluppo della medicina territoriale, occorre innanzitutto portare sul territorio gli strumenti che sono necessari per diagnosi e prevenzione, finora per lo più chiusi in clinica e negli ospedali. Per garantire una continuità assistenziale, occorre sviluppare sempre di più una diagnostica territoriale. E questo, oggi sembra un obiettivo possibile.
“Un esame diagnostico oggi è molto più facile grazie alla tecnologia. Si possono erogare numerose prestazioni nello studio di un medico di medicina generale o anche a domicilio del paziente, con auto-somministrazione o con l’aiuto di un caregiver”, racconta Magi.
Per garantire la continuità assistenziale, saranno strategici anche gli investimenti dedicati allo sviluppo digitale della sanità. “Per proseguire in questa direzione – commenta Boano – è fondamentale lavorare su tre direttrici: la definizione di una chiara governance per l’utilizzo secondario dei dati sanitari; il rafforzamento dei sistemi informativi in termini di contenuto, ma anche di interconnessione fra i diversi presidi assistenziali; la creazione e il consolidamento di nuove competenze”.
Secondo l’ultimo rapporto AGID sulla spesa ICT nella sanità territoriale italiana, i maggiori capitoli di spesa si registrano soprattutto nelle aziende sanitarie locali (61% della spesa nel 2018). Il costo complessivo delle tecnologie è stato pari a 593 milioni di euro nel 2018, con una previsione di aumento dei costi per il 2019 pari al 7%. Più del 50% della spesa è dovuta a costi di manutenzione hardware e software.
Formazione professionale
Ma per erogare nuovi servizi bisogna anche puntare sulle persone. Occorre dunque proporre nuove sfide e nuovi orizzonti alle figure professionali che già scendono in campo sul territorio. E, inoltre, è importante introdurre nuove figure, capaci di rispondere a bisogni e servizi inediti. C’è bisogno di figure che esercitino un ruolo attivo di coordinamento e che si focalizzino sul paziente, accompagnandolo durante tutto il percorso di presa in carico sia in ospedale, ma anche sul territorio o presso il domicilio.
Secondo i dati Istat del 2018, al nord vi sarebbero 6,7 medici di medicina generale ogni 10 mila abitanti, al centro 7,5 e al sud 7,7. Ciò significa che, in media, ciascun medico italiano segue 1400 pazienti circa.
Utilizzando i dati Sisac, la struttura interregionale che si occupa delle convenzioni, emerge un tasso di crescita negativo, pari a -3%, per quanto riguarda i medici di medicina generale che si occupano di assistenza primaria tra il 2018 e il 2020. I medici impegnati nell’emergenza sanitaria territoriale sono calati di un tasso pari a -1,4%. La medicina dei servizi perde personale con un trend pari al -12.5%.
L’unico dato positivo riguarda la continuità assistenziale che cresce con un tasso pari al 2,6%.
“Oggi occorre un contesto nazionale di riferimento che possa stabilire standard organizzativi di personale e obiettivi di salute condivisi a livello nazionale, che poi vengono declinati sulla base delle esigenze regionali. Il quadro complessivo concorrerà a rendere visibile, riconoscibile e praticabile l’attività della medicina generale e soprattutto delle cure territoriali e primarie”, ha commentato Magi.
Per assicurare un’assistenza territoriale capillare, la medicina del territorio deve fare affidamento su team anche piccoli, ma arricchiti da professionalità multiple. “Le risposte primarie, date su un modello di iniziativa proattiva, attivano la presa in carico del paziente e i processi di cura. Creando percorsi omogenei, che riducono l’ospedalizzazione del paziente e che coordinano i processi di cura, è possibile abbattere la spesa sanitaria, generando un risparmio”, aggiunge Magi.
Ancora una volta, però, non si può fare affidamento solo e unicamente sul sistema attuale. Occorre introdurre nuovi strumenti digitali e nuove figure professionali perché il cambiamento possa avvenire.
“Il medico di medicina generale si colloca come una figura di regia e di coordinamento dei percorsi di cura territoriale. L’assistente di studio, l’infermiere, l’assistente sociale o altre figure professionali intermedie possono contribuire a sviluppare i processi intermedi, che vanno dalla tecnologia di primo livello alla digitalizzazione”, ha concluso Magi.
Incentivare diagnosi e terapie
Un altro disagio portato dalla pandemia ha riguardato la forte diminuzione degli screening e delle cure ospedaliere. Si sono registrati, infatti, 46 milioni di visite specialistiche e accertamenti diagnostici, e 3 milioni di screening oncologici in meno nel 2020 rispetto all’anno precedente.
Per fortuna, il 2020 porta anche un caso di particolare e positivo rilievo. Nel pieno dell’emergenza sanitaria, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha ritenuto opportuno allargare l’accesso all’home therapy, per la somministrazione domiciliare dei farmaci per terapia enzimatica sostitutiva. Un provvedimento che ha minimizzato il potenziale rischio di discontinuità del trattamento di tanti malati rari, dovuto al timore di contagio in ambiente ospedaliero.