Il mining dovrà affidarsi sempre di più a fonti green
Elon Musk è un pò come il re Mida dei nostri tempi. Qualsiasi cosa tocchi aumenta di valore. Prima con le azioni GameStop, schizzate alle stelle, poi con una semplice bio aggiornata su Twitter in cui è bastato scrivere bitcoin per generare un rally sulla criptovaluta. Fino alla notizia bomba di qualche giorno fa: l’investimento da 1,5 miliardi di dollari in bitcoin ne ha aumentato il valore, convincendo sempre più cittadini e risparmiatori che quella sia la strada del futuro. Ma c’è un ma. Che costo ha questa moneta virtuale sganciata da qualsiasi autorità centrale? Parecchia in termini di emissioni di gas serra come la CO2. Se ne è occupato anche The Verge: la questione ruota intorno al mining – infatti si parla di minare i bitcoin – ovvero quella pratica di verifica di ogni transazione effettuata su blockchain e che richiede un’elevata potenza di calcolo. Energia, computer, tanto lavoro che si traduce in emissioni.
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Bitcoin: le miniere stanno in Cina
Non stiamo parlando del consumo per un banale invio di una email. Stando a Market Watch, minare bitcoin comporta a livello globale un consumo di elettricità maggiore a quello di paesi come Argentina, Emirati Arabi o Olanda. Per fare un paragone – un pò bizzarro e decisamente british – l’Università di Cambridge ha spiegato che l’energia annuale richiesta per i bitcoin basterebbe ad alimentare tutti i bollitori di tè in Gran Bretagna per 27 anni. Ciò non significa che minare bitcoin sia come bruciare copertoni in una discarica abusiva: gli esperti fanno però notare che, soprattutto nei momenti di picco, la pratica del mining si affida a fonti di energia non rinnovabili.
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Circa i due terzi dei bitcoin vengono infatti minati in Cina, dove il costo del carbone non è elevato e le sensibilità sull’ambiente non sono proprio ai livelli del nord Europa. «L’ostacolo che deve essere affrontato è garantire che ci siano fonti di energia pulita ed efficiente disponibili per i minatori, specialmente durante i periodi di picco. Una maggiore domanda genera un maggiore costo per kW, incentivando quindi l’uso di impianti a carbone o a gas», ha spiegato Jeremy Klingel di PA Consulting.