Momenti di pura poesia in Voxel Art su Switch. Per tutti quelli che amano il Giappone
C’è davvero tanto dello splendido lungometraggio animato di Makoto Shinkai, Your Name., in The Kids We Were, placida avventura per lo più testuale apparsa inizialmente su smartphone, quindi su Steam e prevista ora per Nintendo Switch. A iniziare dai viaggi nel tempo, che potranno influenzare naturalmente gli avvenimenti successivi, passando per una misteriosa cometa che solca i cieli, tenendo sullo sfondo, ma sempre ben presente, il tema dell’amore.
I paradossi temporali di The Kids We Were
Vorremmo essere più precisi, ma l’opera della software house nipponica GAGEX Co., Ltd. merita di essere giocata in prima persona e non raccontata. Ambientata nel Giappone degli anni ’80, vale a dire gli ultimi scampoli dell’epoca Showa, vi calerà nei panni di un ragazzino nipponico come tanti altri, Minato, che vive con sua madre e la sorellina Mirai.
Il nostro Minato, però, in gran segreto vuole scoprire che fine abbia fatto il padre sparito nel nulla da tempo e approfitta della loro visita al quartiere di Kagami, una cittadina inglobata nell’immensa periferia di Tokyo, per raccogliere informazioni sull’uomo, che il ragazzo sospetta viva nella zona.
Sarà proprio mentre è preso dalle indagini che metterà le mani su un diario magico: “The Seven Mysteries”, che gli consentirà di tornare di 33 anni indietro nel tempo ed essere di fatto l’artefice della nascita dell’amore tra i suoi genitori. E non solo: in ballo c’è molto di più, ma preferiamo lasciarvelo scoprire da soli.
A livello ludico, i viaggi nel tempo permetteranno a tutti gli amanti del Paese del Sol Levante come noi di osservare il Giappone degli anni ’80 riprodotto fedelmente, su schermo, tramite la tecnica visiva della Voxel-art; mentre, a livello di sinossi, di godere di un riuscito intreccio che si dipana lungo più linee temporali. Certo, The Kids We Were è uno di quei “giochi – nongiochi”, dove si passa la maggior parte del tempo a chiacchierare con PNG smaniosi di parlare e si rimbalza da un lato all’altro della mappa, senza compiere altre azioni di sorta, ma difficilmente ci si annoia, tanto sarà forte la voglia di visitare altre urbane di questa placida periferia nipponica e di scoprire come andarono, anni prima, le cose tra mamma e papà .
La trama, del resto, è davvero potente e i momenti in cui ci si inumidirà l’occhio non mancheranno. Chi ha giocato a The Kids We Were su smartphone sarà lieto di sapere che su Switch il gioco arriva con un capitolo in più, “Bridge to Mirai”, che racconta ciò che è avvenuto dopo i fatti narrati nell’avventura principale. E visto che Mirai è anche il nome della nostra sorellina… be’, avrete intuito su chi sia focalizzato. Molto buone anche le musiche, sempre delicate e ben centrate con quanto avviene su schermo.
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Per molti versi, The Kids We Were è assai simile a un altro titolo ambientato in Giappone e approdato di recente su Switch: Nostalgic Train (noi lo abbiamo recensito qui) della startup Tatamibeya (e dietro a questa startup, se abbiamo capito bene – non mastichiamo troppo il giapponese – l’artista Hiroshi Sakakibara, Environment Artist e Team Coordinator nella rinomata CD Projekt Red, software house di Varsavia responsabile di titoli di impatto come The Witcher e Cyberpunk 2077). Con quest’altro titolo The Kids We Were condivide la poesia ma pure i difetti, a iniziare da una lentezza d’esecuzione che potrebbe scoraggiare chi cerca videogame maggiormente frenetici o semplicemente più improntati all’azione.
A nostro avviso la sola, vera, pecca di The Kids We Were è l’assenza della localizzazione italiana, che avrebbe permesso a molti più utenti di godere di una sinossi così ben fatta. Dovrete accontentarvi dell’inglese. A parte questo, acquistando il titolo strapperete un biglietto per un Giappone ormai perduto. L’avventura dura solo 5-6 ore, ma conserverete nel cuore ogni minuto.