Una startup portoghese mette in scena una avventura ambientata negli anni ruggenti, in bilico tra il thriller e l’horror, ma il gioco stesso ondeggia pericolosamente e fatica a trovare un suo equilibrio
Scrivere la recensione di Pecaminosa – A Pixel Noir Game è stata una operazione piuttosto complessa. Da un lato abbiamo infatti un titolo con carisma da vendere e che riesce, nonostante la grafica da titolo per NES, a catapultarvi realmente in una buia, piovosa, sporca città del vizio. Dall’altro, però, ci sono tutti i limiti delle produzioni indipendenti, amplificati dal fallito – possiamo dirlo – tentativo di fondere più generi molto diversi tra loro, senza però riuscire a creare l’amalgama perfetto. Anzi, a conti fatti il gameplay di Pecaminosa, come scoprirete leggendo questa recensione, è un po’ come quelle ricette che vi chiedono di mescolare più ingredienti che non legano tra loro e che, nonostante i colpi di frusta, continuano a restare separati, disomogenei, nella ciotola e voi vi chiedete cosa possa essere andato storto…
Partiamo però dai pregi del prodotto della portoghese Cereal Games, distribuito da BadLand Publishing. Pecaminosa – A Pixel Noir Game ha fascino da vendere. Pare un giochino creato con RPG Maker e invece si rivela un portale per una città sporca e tentacolare, ottimo palcoscenico per una trama adulta e ispida. Com’è ispido il volto del protagonista, John Souza, classico detective (anzi, ex detective) dall’aspetto stropicciato e disilluso, che sembra aver subito dalla vita più batoste di quante ne potesse davvero incassare.
Attorno a John si muove, si sviluppa e lo avviluppa un sordido sottobosco anni ’30 (stranamente non ci troviamo a Chicago, ma in una cadente cittadina di confine tra gli USA e il Messico), fatto di gangster, poliziotti corrotti, spogliarelliste, prostitute, pusher e topi d’appartamento. Se Mafia Definitive Edition avesse un gemello 2D con visuale isometrica, noi ce lo immagineremmo proprio così.
Ma, come detto a inizio recensione, così come i peccati della metropoli in cui è ambientato il gioco sembrano trasudare dalla stessa ambientazione urbana, allo stesso modo i difetti di Pecaminosa – A Pixel Noir Game non tardano affatto a venire a galla. Sono diversi, su diversi piani. Dalla sinossi, che non presenta una vera e propria indagine da romanzo giallo, come ci saremmo attesi, preferendo sfociare in deliri esoterici (ma questa è un’opinione soggettiva, ce ne rendiamo conto), fino all’estrema difficoltà rappresentata da un sistema di controllo tipicamente twin-stick shooter. Se già non è agevole inscenare una sparatoria in un titolo con visuale a volo d’uccello, figurarsi cosa può voler dire ritrovarsi con uno stick a muovere il personaggio e con l’altro il mirino.
Le sparatorie, così come le scazzottate, visto che seguono le medesime regole, appaiono confuse e del tutto casuali. Su Switch, poi, nel caso giochiate in modalità “handheld”, non riuscirete nemmeno a vedere i proiettili vaganti, dunque vi ritroverete in fin di vita senza comprendere perché. Allo stesso modo, non vi sarà agevole capire se dalla vostra postazione riuscirete a colpire il nemico, perché l’indicatore della gittata è piccolissimo.
Se a questo aggiungiamo che il nostro personaggio si trascina lentamente per enormi ambientazioni vuote (non esistono sidequest e il solo minigioco possibile è il blackjack), punteggiate al più da qualche PNG che ripete sempre le medesime frasi, si capisce perché l’offerta ludica di Pecaminosa – A Pixel Noir Game non possa strapparci una recensione entusiastica. Sorregge l’intelaiatura la possibilità di potenziare il proprio alter ego spendendo punti per migliorare le sue caratteristiche: Fortuna, Intelligenza, Forza e Resistenza ma alla fine le prime due non servono a nulla mentre le seconde sono necessarie per riuscire a superare gli scontri, che appunto sono infernali, tanto le boss battle quanto le semplici scazzottate con l’ultimo dei galoppini…