La piattaforma tedesca aggiunge i dispositivi di protezione all’abbigliamento e gira il ricavato in beneficenza
Che servano in modo significativo o meno e in tutte le situazioni, punto sul quale la comunità scientifica è parzialmente divisa, le mascherine sono diventate l’ingrediente centrale della nostra vita associata. Se per passeggiare normalmente e a distanza non occorrono, il nuovo decreto del presidente del consiglio dei ministri che dà il via alla cosiddetta Fase 2 le raccomanda per i luoghi chiusi aperti al pubblico e per quelli di lavoro. E in alcune regioni, come Lombardia e Toscana, restano comunque obbligatorie per uscire di casa.
Le criticità del fabbisogno
Ma la richiesta in questi mesi è pachidermica, l’approvvigionamento sui mercati internazionali (come per altri dispositivi fra cui guanti, tute isolanti, calzari, reagenti per tamponi) si è rivelato difficoltoso, la riconversione non sempre possibile e la produzione nazionale insufficiente. Questo nonostante la presenza di aziende leader come Bls srl, l’unica italiana specializzata al 100% nella produzione di dispositivi di protezione delle vie respiratorie che, fra l’altro, ha raddoppiato la capacità produttiva e dedicato tre linee, tutti i giorni 24 ore su 24, interamente alla produzione di mascherine Ffp2 ed Ffp3 proprio per la regione Lombardia.
La mossa di Zalando
Adesso si muovono anche i colossi. Perfino quelli più legati alla moda e allo shopping online dove si farebbe fatica a immaginare annunci su prodotti simili. Zalando, piattaforma internazionale di e-commerce nell’abbigliamento, ha infatti deciso di iniziare da oggi a vendere mascherine non chirurgiche tramite la rete di partner aziendali e alla produzione tramite le cosiddette “private label”, le marche commerciali con cui già arricchisce l’offerta standard. Non solo: i proventi delle vendite andranno in beneficenza.
“Riteniamo che tutti dovrebbero avere a disposizione una mascherina. Fornire mascherine in tessuto a prezzi accessibili aiuterà le persone a proteggere gli altri e conservare mascherine ad uso medico-chirurgico per gli operatori sanitari competenti – ha spiegato Kate Heiny, director sustainability del gruppo – siamo molto lieti di donare il profitto generato dalle vendite delle mascherine all’assistenza internazionale contro il coronavirus tramite Humedica. I loro sforzi sono diretti verso i Paesi che soffrono di conflitti armati, catastrofi ricorrenti o con sistemi sanitari deboli”.
Zalando offrirà dunque da oggi mascherine non chirurgiche (non quelle di cui parla il commissario Domenico Arcuri, per capirci) a prezzi accessibili a partire da un euro, in vari design, e continuerà ad aumentare l’assortimento con ulteriori tipologie di dispositivi protettivi nel corso delle prossime settimane. Le maschere provengono dalla produzione delle private label di Zalando e dai brand all’interno del “wholesale business” e Partner program dell’azienda. Ovviamente si tratta come già detto di mascherine in tessuto non chirurgiche: “Non sono un dispositivo medico ma aiutano a ridurre l’espulsione delle goccioline, ad esempio quando si tossisce, e rafforzano visibilmente la consapevolezza del “distanziamento sociale” – spiega la piattaforma – indossando una mascherina, tutti possono contribuire a ridurre l’ulteriore diffusione del coronavirus“.
L’avvio dell’operazione non dev’essere però stato dei più rapidi: sul sito italiano c’è al momento un solo prodotto disponibile (meglio cercare con la parola chiave “maschera stoffa”) mentre sulla versione tedesca si contano diverse tipologie di maschere con filtro in pacchi da tre a 30 euro totali. Dall’ufficio stampa del colosso assicurano che, nel corso dei giorni, l’assortimento si allineerà in tutti e 17 i mercati serviti dalla piattaforma, Italia inclusa. E probabilmente arriveranno anche prodotti più economici.
Le griffe del lusso
Anche diverse griffe del lusso – a parte alcune mascherine che già avevano in collezione come accessori – si sono messe alla prova con le mascherine chirurgiche in tnt (tessuto non tessuto). Non solo protagonisti della moda come la direttrice creativa di Drome Marianna Rosati che si è fisicamente piazzate alla macchina da cucire in prima persona ma anche intere filiere, stimolate da Cna Federmoda e da Confindustria Moda, si sono dimostrate pronte a raccogliere l’invito.
Così ecco il marchio Hui e le donazioni alla Protezione civile di Milano, Roncato che ha riconvertito la propria produzione nella realizzazione di mascherine in Pvc medicale morbido ed ergonomico, lavabili e dotate di filtri di ricambio. E ancora Gucci, Prada, i gruppi tessili Miroglio (Piemonte) e Artemisia (Lombardia) e la brianzola Montrasio, Manebì, Herno, giganti internazionali come Canada Goose in Canada, Burberry nel Regno Unito, Armani in Italia (che ha riconvertito tutti i propri stabilimenti nostrani nella produzione di camici monouso per medici e infermieri), Salvatore Ferragamo in Toscana, Calzedonia, Zegna, Mango, Marzotto, Boccadamo, Fabi, Les Copain e molti altri marchi ben elencati da Elle.
La piccola realtà
Ci sono poi una miriade di iniziative sparse, di dimensioni evidentemente minori, ma che dimostrano la partecipazione degli italiani all’emergenza. Ciascuno nel proprio piccolo. La ministra Elena Bonetti ha per esempio sottolineato da poco il progetto della cooperativa sociale E.v.a. di Casa di Principe, realtà che da venti anni opera sul territorio campano per prevenire e contrastare la violenza maschile su donne e minori. La cooperativa ha annunciato la rimodulazione temporanea dell’attività per la produzione di accessori di alta moda avviata insieme alle associazioni CO2 Crisis Opportunity Onlus, daSud Aps, Rete San Leucio Textile e Consorzio Agrorinasce con un finanziamento della regione Campania per il buon utilizzo dei beni confiscati. E ha così lanciato, viste le necessità del momento, “Mascherine contro la violenza“: il progetto nasce appunto in un bene confiscato alla camorra proprio a Casal di Principe e impegna donne fuoriuscite da situazioni di violenza nella produzione di mascherine contro il Covid-19. Verranno distribuite alle operatrici dei centri antiviolenza di tutta Italia.
Al progetto, che tiene insieme il contrasto alle mafie, alla violenza di genere e al contagio, ha aderito anche la sartoria del Teatro San Carlo. Metterà a disposizione della cooperativa – che gestisce cinque centri antiviolenza e tre case rifugio, tra cui Casa Lorena, casa delle donne contro la violenza – l’arte sartoriale delle proprie maestranze per trasmettere i propri saperi artigianali. E presto arriverà una campagna di crowdfunding per dare una mano al progetto.