La circolare illustra i criteri di adozione del lavoro da casa per i dipendenti del MISE. Regole da rispettare per il BYOD della Pubblica Amministrazione
L’emergenza Covid19 ha impartito una spinta verso il lavoro a distanza, la flessibilità , lo smartworking o qualsiasi altra forma alternativa alla presenza in ufficio: una necessità ineludibile anche per la Pubblica Amministrazione che, fatta salva la necessità di garantire le prestazioni indispensabili (uffici che forniscono servizi che non possono essere rimandati a data da destinarsi), per la prima volta inizierà a sperimentare in modo deciso questa modalità alternativa per svolgere le proprie mansioni. Vediamo quali sono le regole illustrate in una circolare del MISE, analoghe in quasi ogni aspetto a quelle che stanno venendo adottate negli altri rami della PA.
La fornitura informatica
Il Ministero dello Sviluppo Economico chiarisce nella circolare, che abbiamo potuto visionare, che non è prevista alcuna fornitura ai lavoratori di attrezzature per il lavoro a distanza: anzi, si caldeggia da parte dei dipendenti pubblici una certa dose di iniziativa, visto che sussiste il rischio di sovraccarico in caso di utilizzo a distanza unicamente dei servizi informatici della PA. Nella circolare si fa esplicito riferimento a Skype Online come strumento di comunicazione, a cui accedere tramite il proprio indirizzo email istituzionale.
Più controverso il paragrafo in cui si illustra la dotazione informatica necessaria allo smartworking: un PC con processore Pentium 4 e 1GB di RAM è una macchina che risale probabilmente a 15 anni fa (il Pentium 4 è uscito di produzione nel 2008), dotato di sistema operativo Windows 7 e con una connessione a Internet da 1 megabit al secondo (non esattamente banda larga). Gli smartphone (“soluzioni mobile”) sono esclusi dalla dotazione minima ritenuta utile. Peccato che il supporto tecnico per Windows 7 sia terminato lo scorso gennaio, e che il sistema operativo rilasciato nel 2009 sia stato aggiornato con l’ultimo service pack nel 2011: sebbene il vecchio sistema operativo Microsoft sia installato ancora sul 23 per cento circa dei PC in giro per il mondo, parliamo probabilmente di un paradosso in cui gli smartphone posseduti siano più potenti e veloci di quanto non siano quei vecchi personal computer.
Vista la natura potenzialmente sensibile dei dati gestiti dalla PA sarebbe opportuno prevedere l’utilizzo di sistemi operativi moderni e aggiornati, nonché magari l’impiego di quei protocolli di sicurezza allo stato dell’arte che oggi vengono impiegati dalle aziende private. VPN, servizi cloud certificati, PC con hard disk protetto da cifratura: sono strumenti indispensabili, che magari grazie a questa occasione straordinaria potranno farsi strada in una infrastruttura informatica troppo spesso datata. È senz’altro probabile che i dipendenti pubblici possiedano PC più moderni da quelli della circolare: è evidente che questo tipo di modalità di lavoro richieda per il futuro di una dose maggiore di pianificazione, nonché di un approccio rigoroso per chiarire il modo in cui la modalità BYOD (bring your own device) sia accettabile per lavorare in sicurezza e in efficienza.
Più flessibilità invece per prendere gli accordi necessari alla attivazione dello smartworking: visto che il dPCM del 4 marzo parla di ridurre l’affollamento dei luoghi pubblici, per alleggerire la frequentazione degli uffici basterà un’email per ottenere l’autorizzazione dal proprio dirigente al lavoro a distanza. La parte burocratica potrà comodamente essere svolta in seguito, al termine dell’esigenza sanitaria in corso.
Zone rosse, nord e resto d’Italia
Un aspetto fondamentale da sottolineare della circolare è che per chi si trova nelle zone in cui esiste un vero e proprio regime di isolamento (le cosiddette “zone rosse”) ogni dipendente può nei limiti della propria mansione svolgere il suo lavoro dal proprio domicilio: il dPCM del Governo del 1 marzo indica chiaramente quali sono le zone interessate da questa particolare modalità di prevenzione, e qui il MISE chiarisce che tutti i dipendenti potranno attuare il lavoro in “modalità agile” fino a quando perdureranno queste misure – ma dovranno compensare questi giorni di lavoro a distanza al termine del periodo di emergenza.
Fonte: Dipartimento Protezione Civile (aggiornata ai dati del 07/03/20)
Il resto dell’Italia del nord, ovvero le regioni dalla Lombardia alle Marche di fatto, non è tutto direttamente interessato da queste forme di isolamento ma ciò nonostante il MISE fa sapere che i dipendenti potranno chiedere di lavorare da casa: anche qui poi dovranno compensare questi giorni di smartworking, ma il Ministero fa sapere che potranno essere superati i limiti imposti da una precedente circolare che chiariva il rapporto di proporzione tra chi lavorava da casa e chi andava in ufficio.
Esistono però dei criteri con cui si ottiene priorità nella propria domanda di smartworking: chi soffre di patologie che lo mettono a rischio, o un cui familiare soffre di quel tipo di patologie, chi ha più di 65 anni e chi soffre di disabilità ha la precedenza. Inoltre, per i lavoratori con figli esiste un criterio di precedenza che però ha un un limite: il telelavoro può essere richiesto da un genitore alla volta. Una sorta di concessione a metà , che magari potrà essere ulteriormente ampliata offrendo ai genitori dei congedi extra per sopperire alla chiusura delle scuole che al momento è stata confermata fino al 15 marzo, ma per cui già si parla della possibilità ulteriore di prolungamento.