Le stime della Commissione prevedono rialzi del PIL impercettibili. Tra le cause di incertezza per la stabilità dell’Eurozona, esce la Brexit, entra il Coronavirus
È stata una settimana difficile, questa, per il governo italiano. Iniziata con l’Istat che ha certificato un crollo della produzione del -2,7% a dicembre, meno 4,3% rispetto al 2018 e “finita” con le fosche previsioni sulla crescita per il 2020 della Commissione europea basate su una serie di ipotesi tecniche relative ai tassi di cambio, ai tassi di interesse e ai prezzi delle materie prime.
Growth forecast for 2020 (%):
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Winter #ECForecast ↓https://t.co/6YKCQ5R3uW— European Commission ?? (@EU_Commission) February 13, 2020
Pil italiano a +0,3%
Ancora una volta l’Italia è “maglia nera” d’Europa. Roma resta infatti l’ultima della classe con una variazione minima a + 0,3% rispetto alla precedente stima di 0,4% elaborata sempre dalla Commissione europea (+ 0,2% per il 2019 dal precedente + 0,1%). Più ottimistica la previsione per il 2021, dove per ora si prospetta uno +0,6%.
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Se il proverbio “mal comune mezzo gaudio” non ha senso nella vita di tutti i giorni, difficilmente può rappresentare fonte di soddisfazioni in economia, dove dominano i freddi numeri. Resta il fatto che l’Italia si ritrova nelle retrovie in buona compagnia, assieme a Parigi e Berlino. Pesano infatti i tumulti francesi così come il rallentamento dell’industria dell’auto.
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Gentiloni: la Brexit fa meno paura
Il destino beffardo ha voluto che a commentare previsioni economiche tanto fosche per Roma fosse proprio un italiano, Paolo Gentiloni, nelle vesti di Commissario europeo responsabile per l’Economia: “Abbiamo assistito a sviluppi incoraggianti quanto alla riduzione delle tensioni commerciali e all’eventualità, ormai scongiurata, di una Brexit senza accordo. Ma ci troviamo ancora di fronte a significative incertezze politiche, che gettano un’ombra sull’industria manifatturiera. Per quanto riguarda il coronavirus – ha aggiunto – è troppo presto per valutare la portata del suo impatto economico negativo”.
Il Coronavirus inquieta la Commissione
La “fase uno” dell’accordo commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina ha contribuito a ridurre in una certa misura i rischi di revisione al ribasso, dicono i tecnici, ma l’elevato grado di incertezza che circonda la politica commerciale degli Stati Uniti continua a impedire il diffondersi di un clima di fiducia tra le imprese. I disordini sociali in America Latina rischiano di compromettere la ripresa economica della regione e l’inasprimento delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente ha aumentato il rischio di un conflitto nella regione.
“Nonostante l’attuale chiarezza sulle relazioni commerciali tra l’UE e il Regno Unito per il periodo di transizione – scrivono gli analisti della Commissione – permangono forti incertezze sul futuro partenariato con il Regno Unito. L’epidemia del coronavirus “2019-nCoV”, con le sue implicazioni per la salute pubblica, l’attività economica e il commercio, in particolare in Cina, rappresenta un nuovo rischio di revisione al ribasso. L’ipotesi di base è che si registri un picco dell’epidemia nel primo trimestre, con ricadute a livello mondiale relativamente limitate. Tuttavia, maggiore sarà la durata dell’epidemia, maggiore è la probabilità di ripercussioni sul clima economico e sulle condizioni di finanziamento globali. I rischi connessi ai cambiamenti climatici, benché siano principalmente rischi a lungo termine, non possono essere esclusi nel breve periodo”.
Il Vicepresidente Valdis Dombrovskis, sostenitore della linea rigorista contraria alla possibilità di concedere maggiore flessibilità nella spesa ai singoli Paesi membri, ha dichiarato: “Nonostante il contesto difficile, l’economia europea rimane su un percorso stabile, mentre continua la creazione di nuovi posti di lavoro e la crescita delle retribuzioni. Ma dobbiamo essere consapevoli dei potenziali rischi all’orizzonte: un panorama geopolitico più volatile associato a incertezze commerciali. Gli Stati membri dovrebbero quindi utilizzare questa finestra di opportunità per portare avanti le riforme strutturali volte a stimolare la crescita e la produttività. I paesi con un debito pubblico elevato dovrebbero altresì rafforzare le proprie difese perseguendo politiche fiscali prudenti.”