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Migliorare la qualità dei contenuti e dei contributi rendendo più complesso l’accesso. Può essere davvero questa la soluzione per rendere Internet un posto migliore?
Leggiamo ciclicamente analisi più o meno definitive sulla potenza distruttiva dei meccanismi sociali in rete, sulla facilità con la quale simili scorciatoie trasformano l’intelligenza delle masse in una poltiglia informe dentro la quale diventerà difficile riconoscere il senso delle cose. L’ultimo della serie è questo articolo di Buzzfeed sul potere corrosivo dei retweet, per brevità chiamati RT. Già il titolo non lascia grandi margini ad interpretazioni alternative. I RT, dice il suo inventore Chris Wetherell, sono “un’arma carica nelle mani di un bambino di 4 anni”.
Si tratta di un riflesso non inedito. Analisi simili sono state in questi anni dedicate agli effetti disturbanti dei commenti sui blog, alla grossolana polarizzazione indotta dal bottone like di Facebook e, più in generale, agli effetti non sempre positivi che i sistemi automatici di condivisione dei contenuti hanno sulla qualità della conversazione generale.
I rimedi ipotizzati sono i più vari. C’è chi vorrebbe non aver inventato i retweet e chi vorrebbe aggiungere un bottone dislike a Facebook, ci sono quelli che vogliono chiudere i commenti sui siti web e quelli che, in un processo inverso di complicazione delle cose semplici, vorrebbero rendere più difficile e meno immediato condividere sui social network contenuti che ci hanno convinto o che ci hanno fatto arrabbiare. Così, invece di un invitante bottoncino che consenta istantaneamente di mandare ai nostri contatti un tweet qualsiasi, non sarebbe meglio ritornare al vecchio buon copia-incolla, pratica sufficientemente indaginosa da ridurre, di molto, qualsiasi desiderio di condivisione?
Sean MacEntee (Flickr)
Ognuna di queste ipotesi – mi pare – ignora il principio generale secondo il quale, dentro una comunità di persone, la riduzione delle barriere di partecipazione causerà inevitabilmente un aumento del rumore complessivo. E si tratta davvero di una constatazione elementare ricordare che le piattaforme sociali sono interessate maggiormente al brusio delle masse che non alla qualità delle conversazioni. Così il loro frequente lamento sugli effetti pervasivi della troppa comunicazione suona quasi sempre fuori luogo, così come le ipotesi di risoluzione di un simile problema. E questo perché l’ambito delle conversazioni digitali, per non essere un’arma potentissima nelle mani di un bimbo di 4 anni, dovrebbe essere non tanto un luogo senza RT o senza Like: semplicemente un luogo senza Facebook o senza Twitter.