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L’unica strada per emergere dal sovraccarico di bit è puntare su immagini shock. E questo è “il” problema
Devo essere sincero. Non credevo troppo alla tesi esposta da Anna Maria Testa in questo splendido articolo pubblicato su Internazionale qualche giorno fa. La tesi secondo la quale esista una dose ottimale, talvolta anche biologicamente determinata, come accade per esempio con certe vitamine del nostro organismo, che sia giusta per noi. E nemmeno credevo troppo alla conseguenza – alla quale poi sarà possibile ascrivere molti dei guasti della società contemporanea – secondo la quale il troppo sia sempre e comunque tossico. “Il troppo – scrive Testa – trasforma tutto in qualcosa d’altro”.
Per esempio, rimanendo al tema cardine delle società digitali, vale a dire la gestione dell’overload informativo: quel flusso senza freni che impegna la nostra attenzione ogni giorno andrà ricordato che si tratta, certamente, della questione maggiormente rilevante dei nostri tempi. Una critica pigra e superficiale ci ammonisce da sempre sul fatto che “troppa informazione significhi nessuna informazione”. Per la verità non ci ho mai creduto troppo: ho sempre pensato che troppa informazione significhi troppa informazione. E che il nostro problema sia costruire strumenti nuovi per selezionarla sapientemente.
Pensavo a tutto questo stamattina mentre osservavo sulle prime pagine di tutti i quotidiani del mondo la foto terribile di un padre e una figlia di due anni morti annegati sul greto di un fiume al confine fra USA e Messico. Si tratta di una foto che qualche anno fa nessuno avrebbe pubblicato con una simile evidenza: eppure oggi quell’immagine campeggia non solo sui soliti tabloid dell’orrore o sui quotidiani italiani ma anche sul NYT, sul Guardian, su El Pais.
Trovo sia un esempio di quello che sosteneva Testa: il troppo ha trasformato tutto in qualcosa d’altro. Perfino i grandi giornali che fino a ieri erano i baluardi di un pensiero articolato e colto (non tutti, non sempre) oggi navigano con convinzione dentro questo oceano di troppo che ci avvolge tutti. E finiscono così per assomigliarci con grande esattezza. La scommessa più ardua della società dell’informazione, quella di costruire argini e filtri dentro il flusso gigantesco di bit che ci raggiungono ogni minuto, quella alla quale ci siamo affidati nell’ultimo decennio per sostenere la possibilità tecnologica di scegliere il meglio e solo quello, sembra in casi del genere irrimediabilmente persa. Troppa informazione è diventata troppa informazione. E nella società digitale, dove tutto è ormai troppo, rischiamo di diventare ciechi e sordi come mai ci è accaduto in passato.