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Dalla Porta di Brandeburgo parte una manifestazione che pone al centro i diritti delle donne. Ne abbiamo parlato con Clara Mavellia organizzatrice della marcia
Ha un’anima italiana la marcia che giovedì 9 maggio accende il cuore d’Europa. Porta di Brandeburgo, Berlino, ore 12: scatta la Women’s March and Fest, una chiamata a raccolta per quante (ha promesso di esserci anche Laura Boldrini) vogliono fare dell’Europa, a un soffio da elezioni europee cruciali per il futuro del continente, anche una fortezza dei diritti delle donne.
A volerla e organizzarla è un’italiana che trent’anni fa colse proprio qui, a Berlino, un altro di quei momenti in cui la storia, con un’improvvisa capovolta, è capace di rovesciare il corso del futuro: il crollo del muro . “Ero venuta a Berlino per un dottorato”, racconta lei, Clara Mavellia: “Quando lo finii era il 15 marzo del ’90, un momento incredibile. Decisi di restarci perché mi sentivo avvolta da un’energia straordinaria: qui si viveva un momento di apertura totale che spalancava prospettive e faceva sentire che tutto era possibile”. A Clara Mavellia si spalancarono allora le porte del giornalismo e della ricerca, a cui affiancò poi un master universitario interdisciplinare in Filosofia, Scienze politiche ed Economia: oggi, con il suo Cultural Entrepreneurship Institute, questa professionista appassionata aiuta aziende e istituzioni a sviluppare strategie economiche, culturali ed etiche e dal 2017 è alla testa di EU Women, organismo promotore della manifestazione del 9 maggio.
L’intervista
Clara, perché una marcia delle donne nel cuore d’Europa?
Perché nel giorno in cui si festeggia l’Europa, non vogliamo lasciare l’Europa a chi, con una visione da anni Cinquanta, vuole perpetuare vecchie ideologie e tenere in vita un patriarcato che soffoca le donne. In questo momento, poi, molti diritti delle donne sono sotto attacco: basti pensare alla guerra alla legge sull’aborto condotta da certe forze politiche in Polonia o alla messa al bando dei Gender Studies nelle università ungheresi a opera di Orbán. Più generalmente parlando, è sotto gli occhi del mondo che le donne sono pagate meno degli uomini a parità di lavoro e qualifica e che sono ancora sottorappresentate nelle posizioni di leadership nel business, nella ricerca, in politica, nelle organizzazioni culturali. Noi anzitutto chiediamo parità in tutti i Parlamenti, in quelli nazionali e in quello europeo, così come nei consigli di amministrazione e negli organismi che contano. Ecco, in questa giornata noi vogliamo presentare idee, progetti, campagne per promuovere la parità, che è prima di tutto una questione di giustizia. E uscire insieme allo scoperto, farci vedere, farci sentire, alzare le voci. E rendere visibile il tanto che le donne fanno.
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Secondo lei quali sono le battaglie da vincere ora? Ci dica la prima.
Avere più donne nelle aziende, specie ai vertici, perché ormai ricerche e statistiche ci dicono che i luoghi di lavoro cambiano decisamente in meglio con un’adeguata presenza femminile. E migliora la stessa performance aziendale.
Ce ne dica una seconda, non legata al lavoro.
La battaglia per un linguaggio che rispetti le donne: non si può più tollerare che il termine “uomini” continui a individuare maschi e femmine indifferentemente o che la voce maschile “amministratore delegato” definisca anche una donna: già 25 anni fa scrissi un testo scientifico su questo tema.
Secondo lei, cosa impedisce a molte donne di chiedere ciò che a loro spetta?
Proprio perché le donne non vivono una condizione facile portano in sé molta rabbia, che spesso però non esprimono finendo per somatizzare e deprimersi, forse a causa di una certa paura di entrare in conflitto. Ecco, la marcia delle donne serve anche a dire: nessuna di noi, nessuna di voi è sola. Usciamo fuori, attiviamoci, costruiamo insieme comunità… L’energia femminile è straordinariamente positiva.
Un vostro slogan è: women will fix the world. Sintetizzando, cosa possono portare in più o di diverso oggi le donne?
Le donne possiedono skills adatte a interpretare i tempi di cambiamento che viviamo, vedi l’empatia, l’intuizione, la capacità di includere le differenze…, fondamentali nel mondo disegnato dall’intelligenza artificiale. E poi si spendono per l’ambiente, i temi sociali, la pace, la comunità… Se penso alle esperienze di microcredito ispirate da Yunus così come al crowdfunding, vedo che le imprese femminili tendono a reinvestire il denaro in ciò che è anche utile alla comunità.
Ma le pari opportunità restano lontane se non si coinvolgono anche gli uomini. Vi aspettate anche uomini alla manifestazione?
Assolutamente sì, vogliamo che ci siano: per un mondo ispirato alla parità abbiamo bisogno di agire insieme agli uomini. Noi rigettiamo i portatori di quella mascolinità tossica che, alla fine, non danneggia solo le donne ma gli uomini stessi, educati sin da bambini a esibire quella forza, quella durezza, quell’attitudine alla competizione e al primato che alla fine li porta a quarant’anni a sentirsi esauriti: non crede che gli uomini siano stufi di dover competere incessantemente? È un grande spreco di potenzialità anche per loro.