In collaborazione con |
I numeri della strage neozelandese. Cosa dicono di come usiamo i social media, e cosa dicono di noi
Della terribile giornata di Christchurch occorrerà fare tesoro di un paio di numeri, entrambi ufficiali, entrambi forniti dalla newsroom di Facebook: che non è solo la piattaforma social più utilizzata al mondo ma anche quella in cui il terrorista ha trasmesso live per 17 minuti la strage delle moschee in Nuova Zelanda.
Il primo numero è quello delle persone che hanno seguito in diretta il massacro: meno di duecento persone. Una goccia nel mare dei due miliardi di utenti attivi del social network. Il secondo numero è relativo al numero di volte che Facebook ha cancellato il video della strage dalla sua piattaforma nelle prime 24 ore dalla sua messa in onda. È anche questo è un numero impressionante, pur se in senso opposto: 1,5 milioni di volte. Di questi 1,2 milioni di volte bloccandolo prima che il video fosse effettivamente caricato. Per capirci meglio quel video terribile è stato cancellato 1041 volte ogni minuto.
Cosa ci dicono queste cifre? La prima è che noi siamo abituati a giudicare i social network, e in particolare i suoi strumenti live, come una sorta di TV agli steroidi. Utilizziamo vecchie misure per nuove autostrade. È vero l’esatto contrario. Nella grandissima maggioranza dei casi chi comunica in rete vive l’illusione di essere di fronte a una enorme platea: sta invece parlando dentro una stanza piccola e semivuota. Sono i media stessi che diffondono una simile idea di grande potenzialità: del resto – come si dice – per il martello qualsiasi cosa è un chiodo.
La seconda è che buona parte delle dinamiche di gruppo sui social network, ma in Rete in generale da sempre, dipendono da noi. Noi intesi non come l’assassino suprematista bianco che spara sui fedeli inermi dentro una moschea in Nuova Zelanda, ma noi che decidiamo cosa sia rilevante e cosa no. È quello il momento in cui la stanza diventa affollatissima e trabocca di una umanità non sempre facilmente commentabile, spesso nemmeno del tutto comprensibile. Quanti fra chi ha cercato di condividere quel video nei primi minuti dopo la strage lo ha fatto perché era spaventato dall’orrore e desideravano stigmatizzarlo? Quanti per supportare il terrorista? Quanti per ragioni informative? Quanti per semplice fascinazione per l’orribile e l’inconsueto?
Qualsiasi siano le risposte a simili dubbi un unico punto è chiaro: la Rete siamo noi, abbiamo un lungo percorso da compiere che è appena iniziato. Nessuno potrà sentirsi escluso.