Nubi scure si addensano su Taranto ma questa volta non sono le emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico
Da Taranto arriva un nuovo colpo di scena. ArcelorMittal, la compagnia indiana che aveva siglato un contratto di affitto dell’Ilva con il Ministero dello Sviluppo economico, ha infatti annunciato di essere intenzionata a recedere unilateralmente. E ora?
ArcelorMittal in fuga
A mettere letteralmente in fuga ArcelorMittal la decisione del governo di procedere con il ripristino della responsabilità penale in capo ai dirigenti dell’ex Ilva. Nel comunicato si sottolinea: “nel caso in cui un nuovo provvedimento legislativo incida sul piano ambientale dello stabilimento di Taranto in misura tale da rendere impossibile la sua gestione o l’attuazione del piano industriale, la Società ha il diritto contrattuale di recedere dallo stesso Contratto”.
Non si sa, come del resto scrive Il Sole 24 Ore che aveva dato in anteprima la notizia, se tale mossa sia frutto della volontà da parte del Ceo di ArcelorMittal, Lakshmi Nivas Mittal di contrattare sul prezzo (il contratto d’affitto sarebbe dovuto essere prodromico a quello di compravendita dell’Ilva), oppure se sia dovuta alla decisione di ristrutturare l’azienda (liberandosi di buona parte dei 10.700 impiegati) o, invece, rappresenti proprio il genuino disinteresse per il polo siderurgico italiano maturato in seguito all’improvvisa ostilità dimostrata dal governo. In più occasioni, infatti, Luigi Di Maio, che pure da Ministro allo Sviluppo economico aveva siglato il contratto con la compagnia indiana, aveva detto di voler togliere ai vertici l’immunità penale garantita dai passati esecutivi per consentire all’azienda di operare in deroga alle norme sull’ambiente e sulla salute pubblica.
Lakshmi Nivas Mittal
In cambio di tale guarentigia, ArcelorMittal si era impegnata non solo a realizzare investimenti ambientali per un totale di 1,1 miliardi, ma anche a mettere sul piatto 1,2 miliardi per incrementare la produzione e a pagare la ex Ilva, terminato il periodo di affitto e detratte le 18 mensilità versate, 1.8 miliardi di euro. Ma, denuncia il Gruppo indiano, “a decorrere dal 3 novembre il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale necessaria alla Società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso”.
Verso la statalizzazione dell’Ilva?
E ora? Il rischio maggiore è che lo Stato finisca per accollarsi una realtà che, oltre ai noti problemi ambientali, versa in uno stato di difficoltà evidente. Circa 1.280 lavoratori sono attualmente in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane e l’azienda perde 2 milioni di euro al giorno.
La questione ArcelorMittal rischia di essere una vera e propria bomba a orologeria per il governo, già provato da una legge di bilancio votata al rigore e, soprattutto, dalla gestione di Alitalia. Ricordiamo che l’esecutivo ha appena dato l’ok all’ennesimo prestito alla compagnia di bandiera: non meno di 400 milioni di euro risultano stanziati nelle bozze del decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio.
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Il Sole 24 Ore ha calcolato che Alitalia ha bruciato oltre 800 milioni di euro in soli 30 mesi, mentre globalmente avrebbe inghiottito 9,2 miliardi di soldi pubblici in 45 anni di vita. Il timore è dunque che l’Ilva apra un nuovo fronte nella spesa pubblica costringendo l’esecutivo Conte bis a trovare risorse per il suo mantenimento. E dato che non c’è più tempo per progettare una seria spending-review da includere nella manovra, i soldi potrebbero essere trovati con tagli lineari alla spesa e attraverso nuove tasse.