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Le campionesse del mondo degli Usa hanno adottato lo slogan “equal pay” e hanno in corso un contenzioso con la federazione perché sostengono di essere vittime di discriminazione di genere
Quest’estate i tifosi italiani hanno seguito con grande interesse le avventure della nazionale di calcio femminile. Per molti si è trattato di una scoperta. Chi aveva mai sentito parlare della nostra nazionale rosa? Vederla capace ed agguerrita è stata una piacevole sorpresa. Poi, come sempre succede, l’attenzione è calata quando la nostra squadra è stata eliminata. Ma il campionato mondiale del calcio femminile ha portato alla ribalta il problema della differenza nei compensi percepiti dagli atleti dei due sessi. È solo uno degli aspetti del famigerato “pay gap”, la differenza che si trova in ogni professione e in ogni angolo della Terra tra il salario medio maschile e quello femminile.
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Lotta contro il pay gap
Il problema è ovviamente complesso e sfaccettato perché quando si fanno le medie quello che conta è anche il (triste) fatto che le donne fanno lavori meno remunerati di quelli degli uomini. È quindi interessante considerare il caso di sportivi che fanno nominalmente lo stesso “lavoro” ma vengono trattati in modo diverso. Le calciatrici statunitensi, che hanno vinto il campionato per la seconda volta consecutiva (ma in totale era la quarta volta), hanno adottato lo slogan “equal pay” che è stato la colonna sonora del loro sfilata trionfale a New York.
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È un problema che si trascina da anni. Le calciatrici USA hanno in corso un contenzioso giudiziario con la loro federazione davanti alla equal opportunity employment commission perché sostengono di essere vittime di discriminazione di genere dal momento che i colleghi maschi (che vincono molto meno di loro) sono più pagati ed hanno bonus partita che arrivano ad essere oltre dieci volte quelli percepiti dalle loro colleghe.
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Le differenze abissali nei compensi percepiti da calciatori e calciatrici (oppure da giocatori e giocatrici di basket) che operano in squadre “private” non sono certo una novità ma vengono facilmente spiegate con le differenze nei diritti televisivi e nelle sponsorizzazioni che le squadre ed i singoli atleti negoziano. Il reddito di un atleta di successo si calcola sommando lo stipendio con i premi che vince e le sponsorizzazioni che ha perché fa il testimonial di questo o di quel marchio.
Nella classifica dei 100 sportivi più pagati al mondo i primi 10 sono 3 calciatori, un pugile, un tennista, due giocatori di football americano e 3 giocatori di basket. Il primo è Messi con 92 milioni di salario (e premi ) e 35 di sponsorizzazioni poi viene Cristiano Ronaldo con 65 milioni di salario e 44 di sponsorizzazioni, il terzo è Neymar con 70 e 35 milioni. Solo questi tre percepiscono più di 100 milioni all’anno. Poi viene il pugile Canelo Alvarez con 92 milioni tra premi e salario e 2 milioni di sponsorizzazioni, la situazione si ribalta per Roger Federer che riceve 7,4 di salario e 86 milioni di sponsorizzazioni.
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I numeri ci dicono quanto possano variare da uno sport all’altro il peso relativo del salario (con i premi ) e delle sponsorizzazioni. Tennisti e golfisti, per esempio, ricavano la maggior parte dei loro compensi dalle sponsorizzazioni a differenza dei pugili, che vincono i premi messi in palio. Per la cronaca, la prima (e unica) donna della lista è Serena Williams che è al 63 posto con 4,2 milioni di stipendio e premi e 25 di sponsorizzazioni. L’ultimo della classifica è Virat Kholi un campione di cricket che si deve accontentare di 25 milioni l’anno (4 di stipendio e 21 di sponsorizzazioni).
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Questa è la situazione dei singoli atleti, tuttavia, quando si parla di nazionali che vanno a rappresentare il loro paese ai campionati mondiali la situazione dovrebbe essere diversa. Invece si direbbe che la differenza maschi/femmine continui a imperversare con premi partita e trattamento generale molto diversi. Che la situazione sia ben nota è provato dalla decisione di Luna bar (che produce barrette energetiche) che ha annunciato che darà a ciascuna giocatrice 31.250 dollari che rappresentano la differenza in bonus partita tra la squadra femminile e quella maschile.
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La federazione sostiene che non è così semplice e che il problema va affrontato nella sua totalità considerando sia salario sia bonus. Tuttavia, la visibilità conferita dalla vittoria ha convinto la Procter & Gamble, che è uno degli sponsor ufficiali della squadra, a prendere posizione a favore delle atlete. Ha mandato messaggi twitter e ha comperato una pagina del New York Times per sostenere la causa dell’equal pay.