Il nuovo sistema delle quote prevede il 30% dei contenuti legati al Vecchio continente. Ma rimangono alcuni dubbi da chiarire e il tempo è poco
Lo scorso ottobre un voto del Parlamento Europeo ha stabilito che le piattaforme di contenuti in streaming dovranno offrire un catalogo che contenga almeno il 30% dei prodotti (serie tv, cartoni, doc e film) di produzione europea. Un quadro generale che si aggiunge a simili disposizioni approvate dai singoli Paesi su sale cinematografiche ed emittenti televisive ma che appunto colma una lacuna rispetto a siti come Netflix e Amazon Prime Video. Insomma, in autunno ha esordito il famigerato sistema delle quote. Eppure molto rimane da chiarire.
Le nuove regole Ue
Le nuove regole entreranno in vigore dal 19 settembre 2020, dunque fra meno di due anni. Se vorranno continuare a operare nell’Unione Europea – o evitare sanzioni – queste piattaforme hanno dunque meno di due anni per allinearsi. Il punto è che non sanno ancora esattamente come perché non è ben definito cosa si intenda con quel 30%. Potrebbe, come ha di recente spiegato Quartz, riferirsi alle ore di contenuto, al numero di contenuti caricati o a un mix di vari indicatori che diano il polso dell’“europeità” del catalogo, per così dire.
I chiarimenti
I punti ancora in dubbio saranno chiariti entro la fine del 2019. Forse con un po’ troppa calma. A partire da quel momento le società che gestiscono questi servizi avranno infatti meno di un anno per rispettare le norme. Sembra molto tempo ma nella logica degli investimenti miliardari, delle produzioni, dei tempi di lavorazione non è poco. Serviranno infatti nuovi titoli per raggiungere quella soglia, a patto di non infilare in catalogo pacchi di film e prodotti “europei” slegati tuttavia dal tipico valore aggiunto delle produzioni originali. Un trucco, infatti, potrebbe semplicemente essere quello di “allagare” i cataloghi acquisendo i diritti di film e serie tv italiane, spagnole, francesi, tedesche e così via affossandole nella library ma continuando, in superficie, a dare rilevanza alle produzioni sulle quali si punta di più. Col risultato di non valorizzare granché il lavoro continentale.
La frustrazione di Netflix
“Preferiremmo concentrarci nel rendere il nostro servizio eccellente per i clienti, che significherebbe anche impegnarci a produrre contenuti locali piuttosto che dover soddisfare delle quote – ha spiegato Reed Hastings, capo del colosso californiano, all’epoca del voto europeo – ma possiamo già anticipare che un sistema di quote regionali che per altro si avvicina alla quota europea dei nostri clienti globali ridurrà di poco la soddisfazione degli abbonati”. Oltre agli investimenti importanti e ai titoli già distribuiti, da Suburra alla tedesca Dark fino alla spagnola La casa di carta, Netflix ha aperto un nuovo polo di produzione in Spagna all’inizio dell’anno e Amazon ha aggiunto serie tv tedesche e britanniche nel corso dell’anno. Ma occorrerà fare di più, e in alcuni Stati anche prima del 2020, per soddisfare le richieste dell’Europa.