Sviluppato in Lombardia, punta a includere una fascia di persone solitamente escluse da questo hobby
Videogioco. Giocare, vedendo. La parola stessa la dice lunga sulla difficoltà, per una persona ipo o non vedente, di potersi avvicinare a questo meraviglioso passatempo. «Eppure conosco chi è riuscito a finire Pokémon Red e Pokémon Blue semplicemente memorizzando i versi cigolanti dei 150 mostriciattoli che venivano emessi dal Game Boy», dice senza riuscire a trattenere l’incredulità Marco Donati, di Cloverbit, la startup videoludica di Treviglio che, nelle prossime settimane, debutterà sul mercato con Echoes From Levia Soulbound.
Si tratta di un audiogame, un videogame pensato per i giocatori non vedenti. «Ma non è il primo nel suo genere», tiene a precisare, con molta onestà e anche un pizzico di umiltà, Donati, che del progetto è stato un po’ il coordinatore. «Quello che è certo – continua – è che non abbiamo molti punti di riferimento: il settore è molto di nicchia. Quando sviluppi un videogame “mainstream” hai ormai quarant’anni di industria dei videogiochi cui puoi appellarti. Qui invece devi inventarti da zero – o quasi – un gameplay, vale a dire le regole del gioco, anche perché se si prova ad applicare quelle tradizionali si possono ottenere i risultati opposti», proprio per via della platea alla quale Echoes From Levia Soulbound si rivolge.
Come si sviluppa un videogioco per non vedenti?
È la domanda base. «Puntando soprattutto sulla storia e sul sonoro», risponde il frontman di Cloverbit, con la naturalezza di chi simili interrogativi se li è posti molto tempo fa, tanto da non farci nemmeno più caso. E, in effetti, lo sviluppo di Echoes From Levia Soulbound è durato oltre un anno e mezzo, ma affonda le radici in un periodo persino precedente: «Tutto è nato per caso: all’ Università Statale di Milano, a margine della presentazione di un “audiogioco”, io e tre miei compagni di corso abbiamo iniziato a discuterne e… oggi siamo qui, al debutto del nostro primo audiogame».
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Marco Donati, Dario Festa, Andrea Guarneri ed Eraldo Zanon non sono più quattro universitari ma le quattro colonne portanti di Cloverbit, la software house alle porte di Milano. Alla fine a Echoes From Levia Soulbound hanno lavorato 12 persone oltre i doppiatori che hanno prestato la propria voce a più di cento personaggi: «Non proprio un progetto piccolo, per essere il nostro primo lavoro», scherza lo sviluppatore, ormai sulla soglia dei 30 anni.
L’importanza dell’audio e della storia
«Durante lo sviluppo del gioco ci siamo resi conto che la tecnologia audio è più arretrata di quella grafica – racconta il Project coordinator – e noi volevamo a tutti i costi implementare un software che restituisse i suoni in modo dinamico a seconda della situazione, ne andava della riuscita del progetto». «Per fare un esempio – continua Donati – una cosa è applaudire le mani in una chiesa, un’altra in un container metallico. Negli engine più usati dagli sviluppatori Indie, come Unity e Unreal, ciò non è possibile, così abbiamo trascorso sei mesi solo per sviluppare un software che elaborasse i suoni tenendo in considerazione condizioni come la posizione del personaggio: se è all’interno o all’esterno; se si è all’interno il materiale che riveste le pareti e la distanza dai muri, perché il riverbero cambia continuamente e soprattutto le persone non vedenti a certi aspetti pongono molta attenzione». «Questo ci ha fatto riflettere anche su di un altro aspetto – chiosa lo sviluppatore – cioè che ormai si tenta di creare esperienze sempre più immersive, per esempio con l’uso della tecnologia VR, che però si basano soprattutto sulla grafica fotorealistica, mentre il sonoro è un aspetto bistrattato e tenuto in secondo piano».
In Echoes From Levia Soulbound ci sono cutscene che raccontano la storia, ci sono fasi esplorative e ci sono persino i combattimenti. È insomma un videogioco completo. C’è pure un impianto grafico perché, come spiega Donati «Spesso gli utenti non vedenti e ipovedenti vengono accompagnati nella fruizione del prodotto da amici o famigliari, dunque volevamo divertire anche loro». Più complicato studiare i modi con cui fare interagire il giocatore: «Su PC si gioca con la tastiera ma non con il mouse, perché non restituisce feedback di natura spaziale. Su dispositivi portatili invece si sfrutta il touch screen per tracciare dei gesti che vengono riconosciuti dal software e si traducono in azioni».
Il calore della platea ipovedente
Durante lo sviluppo, i programmatori di Cloverbit si sono rivolti alla platea di Audiogames.net: «La community si è entusiasmata moltissimo: non ci aspettavamo un simile calore. Quando abbiamo presentato il progetto, un ragazzo mi ha contattato dicendomi che non gli importava che il gioco non fosse ancora uscito perché me lo avrebbe pagato subito», racconta sorridendo Donati. Molte persone non vedenti e ipovedenti hanno poi collaborato attivamente al progetto: «Soprattutto nella fase iniziale, ci siamo avvalsi della disponibilità di numerosi beta tester. Le loro indicazioni ci sono state utilissime per comprendere quale direzione intraprendere». E perché la scelta è ricaduta su un’avventura ambientata in un medioevo fantasy? «Quando si sviluppa un audiogioco c’è il problema che non hai una grafica che definisce in modo automatico e univoco il contesto: come nei libri, ciascuno deve sfruttare la sua immaginazione per costruire luoghi e personaggi – spiega il game designer -, perciò, per non essere eccessivamente verbosi nella descrizione dei paesaggi, abbiamo allora chiesto alla nostra platea quale fossero i contesti coi quali avevano maggiore familiarità ed è uscito che fosse l’immaginario fantasy».
Oggi i ragazzi di Cloverbit sono talmente legati ai loro audiogiocatori che alla domanda se in futuro hanno intenzione di sviluppare anche videogiochi tradizionali rispondono: «Non ci precludiamo nulla, però ci dispiacerebbe abbandonare quella che è ormai la nostra platea di riferimento». L’avventura in un settore così di nicchia, insomma, continua. Anzi, sta per iniziare: Echoes From Levia Soulbound uscirà entro la fine di aprile su PC.