La decisione agita Movimento 5 Stelle. In serata riunione a Palazzo Chigi. Le ragioni di chi avversa l’infrastruttura e le risposte di chi vorrebbe costruirla
Nell’imbarazzo della parte “gialla” del governo giallo-verde, oggi riprendono i lavori del TAP, il Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che collegherà, di fatto, la Puglia con l’Asia. Come è noto, Movimento 5 Stelle ha nei No TAP parte del proprio zoccolo duro. E probabilmente anche per questo, per evitare eventuali scissioni con i rappresentanti locali e panni sporchi lavati in pubblico, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiamato in fretta e furia a Palazzo Chigi una delegazione di pentastellati pugliesi (tra cui il sindaco di Melendugno, Marco Potì, fiero oppositore al gasdotto, i consiglieri regionali della Puglia e i parlamentari salentini dell’M5S) che sarà ricevuta in nottata, dopo il delicato Consiglio dei Ministri che licenzierà la manovra economica da spedire a Bruxelles.
Che cos’è il TAP?
Ma le questioni politiche qui interessano poco anche se innegabilmente dovremo darne conto, più avanti, nel corso di questo approfondimento. Ciò che più urge comprendere, invece, è cosa sia questo famigerato TAP e perché, al pari del TAV (la tratta ad alta velocità Torino – Lione) nel Nord Italia, risulti così difficile da digerire per i pugliesi. TAP è l’acronico del Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che partirà in prossimità di Kipoi, al confine tra Grecia e Turchia, dove si collegherà al Trans Anatolian Pipeline (TANAP). Si tratta insomma di una infrastruttura di rilievo, perché destinata a portare in Europa il gas dell’Azerbaigian.
Venendo ai numeri, il TAP è un progetto da oltre 4,5 miliardi di euro, di cui la maggior parte (circa 90%) già spesa o impegnata. TAP è il terminale europeo del Southern Corridor, progetto da oltre 40 miliardi di dollari. Il progetto è interamente finanziato da capitali privati con il supporto, in forma di prestito, delle principali istituzioni finanziarie europee (BEI e BERS), che ne hanno riconosciuto il ruolo strategico chiave per l’Italia e per l’UE. Avviato ormai più di 10 anni fa, il TAP oggi è completato per oltre l’80%. Manca, appunto, l’approdo italiano per il raccordo con il resto del Vecchio continente.
Il terminale di ricezione non è una centrale che produce emissioni nocive, ma è solo un luogo di passaggio del gas
Per la precisione, manca da eseguire lo scavo, di circa 12 ettari, del Prt, il terminale di ricezione del gasdotto, ovvero il raccordo che lo connetterà alla rete Snam e, in mare, la collocazione del “parancolato”, una rete che proteggerà l’habitat marino durante l’escavazione del microtunnel che verrà posato a 15 metri sotto la spiaggia di Melendugno.
Come si vede dalle mappe interattive, il TAP taglierà la Grecia Settentrionale, nel suo tratto più lungo, muovendo in direzione Ovest attraverso l’Albania. Il tratto sottomarino inizierà in prossimità della città Albanese di Fier e attraverserà l’Adriatico per connettersi alla rete italiana di trasporto del gas in Salento, con approdo a Melendugno, in provincia di Lecce.
La questione (e la confusione) politica
E qui nascono i malumori della popolazione, cui nel corso degli anni hanno dato risonanza proprio gli esponenti di Movimento 5 Stelle. Non a caso pochi giorni fa a Radio Capital la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, in quota ai pentastellati, salentina DOC e DOP, si è laconicamente limitata a dire: “Tap? Per me non è un’opera strategica. I lavori si avvicinano alle coste pugliesi, lo so. La Lega lo vuole, altrimenti avremmo già agito”.
Quando Grillo diceva: “Fermeremo i lavori con il nostro esercito”
Proprio a Meledugno il 20 settembre 2014 durante una manifestazione di No TAP, Beppe Grillo, ideologo di riferimento dei pentastellati, aveva dichiarato arringando la folla: “Se loro verranno a fare il gasdotto in Puglia da qualsiasi parte, anche con l’Esercito, noi ci metteremo il nostro di esercito”. Più recentemente, nell’aprile 2017, un altro esponente di primo piano dei 5 Stelle, Alessandro Di Battista, in Puglia prometteva: “Con noi al governo il TAP sarà bloccato in due settimane”.
Non a caso la ripresa dei lavori sta creando non pochi mal di pancia e imbarazzi al Movimento 5 Stelle, che non sa bene come muoversi dato che l’alleato di governo, la Lega, difende il progetto.
La Lega tira dritto: “Non esiste decrescita felice”
Proprio poco fa il leader della Lega, nonché vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini ha dichiarato: “Oggi dovrebbero ripartire i lavori per la TAP in Salento che abbasserebbe del 10% i costi dell’energia per famiglie e imprese. Rispetto la sensibilità degli alleati, ma l’Italia ha bisogno di più infrastrutture”. Aggiungendo: “Non so come si possono mettere in discussione la Pedemontana veneta e lombarda o il terzo valico. Non credo alla decrescita felice. Quando decresci non sei felice”.
M5S teme il “precedente” dell’Ilva
A tutto ciò si aggiunge, ovviamente, la diffidenza dei pugliesi. I salentini non hanno certo dimenticato che, in campagna elettorale, Movimento 5 Stelle si era speso anche per la chiusura dell’Ilva di Taranto. Arrivato al governo, però, proprio Luigi Di Maio, capo politico pentastellato, nelle vesti di ministro per lo Sviluppo Economico ha siglato lo scorso 6 settembre il contratto che il suo predecessore, Carlo Calenda, in quota PD, aveva redatto. Dunque appare normale che ora i pentastellati temano che i NO TAP brandiscano il precedente dell’Ilva, venduta agli indiani di Arcelor Mittal anziché essere dismessa come promesso sotto elezioni, per tacciarli di tradimento. Non ci sarebbe accusa più difficile da digerire per chi ha sempre sostenuto di essere diverso dalle altre forze politiche.
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Nella giornata di ieri, una grande giornata per l’industria italiana e il Sud, si è concluso un lavoro durato due anni. Due anni in cui Di Maio e il M5S hanno remato contro e promesso di chiudere #ILVA. Complimenti per aver saputo cambiare idea, era ora. pic.twitter.com/URDgYAVVOl
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 7 settembre 2018
Contro, ma solo per le modalità, anche Michele Emiliano
Contrario non all’opera ma alle modalità con cui sarà realizzata è il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (Partito Democratico), che il 28 marzo 2017 a seguito delle contestazioni e della repressione delle forze dell’ordine, motivava così: “In Commissione parlamentare antimafia ho spiegato l’incongruità dell’approdo del Tap tanto a sud da costringere alla costruzione di un gasdotto terrestre di 55 km per la riconnessione alla dorsale Snam, che dovrà essere realizzato a carico della tariffa gas dei cittadini italiani, pur essendo al servizio di un’opera privata sia pure di interesse pubblico. Ho specificato inoltre che in quell’area l’inutile tratto aggiuntivo del gasdotto terrestre avrebbe costretto allo spostamento di migliaia di alberi di ulivo.”
Emiliano, però, è ancora una volta in netta minoranza all’interno del suo partito, che proprio durante i governi Letta, Renzi e Gentiloni ha impresso una accelerazione alla sua realizzazione, firmando – come si vedrà più avanti – alcune carte fondamentali. Insomma, il PD è favorevole, Emiliano no; la Lega è favorevole, Movimento 5 Stelle no. Appare ovvio che questa infrastruttura sia divisiva tanto quanto l’alta velocità Torino – Lione. Ma perché il TAP costituisce un problema tale da mobilitare la popolazione e una costola importante della maggioranza più volte scese in piazza pur di bloccarlo?
La protesta tutta italiana riguarda la parte finale del TAP nonché una parte infinitesimale del progetto. In totale, infatti, il TAP si snoderà lungo 878 chilometri: 550 chilometri riguardano la Grecia; 215 chilometri l’Albania; 105 chilometri attraverseranno l’Adriatico a 820 metri sotto il livello del mare e solo 8 chilometri riguarderanno il suolo italiano.
Una guerra fatta di carte bollate
Anzitutto, i pugliesi interessati dall’approdo sulle loro coste del TAP non hanno digerito la recente ordinanza della Capitaneria di porto che, dallo scorso primo ottobre fino al 30 dicembre, ha interdetto alla navigazione, alla pesca e alla balneazione lo specchio d’acqua interessato dai lavori per una distanza di 200 metri dalle unità della Trans Adriatic Pipeline Italia che, proprio a inizio mese, ha iniziato le attività di costruzione per la sezione marina del gasdotto.
Come in tante altre vicende italiche è subito nata una guerra fatta di carte bollate. I cantieri di San Basilio (dove avvennero le proteste) sono stati bloccati da una ordinanza del sindaco che vieta di proseguire con i lavori a causa del presunto inquinamento dei pozzi attigui agli scavi. Sulla validità o pretestuosità dell’atto dovrà presto esprimersi il TAR.
Le ragioni della protesta No TAP
Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Le ragioni addotte dai No TAP sono ben più varie e vanno da motivi plausibili che chiamano in causa possibili problemi alla salute e all’ambiente (nella Regione dell’Ilva di Taranto è comprensibile la diffidenza dei cittadini quando si chiamano in causa simili diritti fondamentali) fino ad arrivare ad altri decisamente più discutibili, come per esempio l’inutilità del progetto e il fatto che tramite l’approvvigionamento di gas si “sostengano governi autoritari, primo fra tutti – sostengono gli attivisti – quello dell’Azerbaigian, dove giornalisti, attivisti e cittadini vengono arrestati se denunciano corruzione, censure e divieti”. Chi fosse curioso di saperne di più può approfondire le ragioni della protesta direttamente dal sito No TAP.
Cosa risponde la Trans Adriatic Pipeline
Sul fronte economico, Trans Adriatic Pipeline ricorda che “l’Italia dipende per circa il 90% dei consumi di gas naturale dalle importazioni. Aggiungere una nuova fonte e una nuova rotta a quelle attualmente esistenti (Russia, Algeria, Libia, Olanda e Norvegia) consentirebbe di rafforzare significativamente la sicurezza dei nostri approvvigionamenti e di diversificare ulteriormente le fonti di fornitura”.
A chi si oppone, la società rammenta inoltre che “Entro il 2020 scadranno contratti di fornitura con l’Algeria, l’Olanda e la Russia per circa 35 miliardi di metri cubi all’anno. Perciò l’arrivo sul mercato italiano ed europeo del gas del Mar Caspio sarà particolarmente utile e tempestivo. E potrà avere anche un benefico effetto sui prezzi, aumentando la concorrenza tra fonti e abbattendo i costi di logistica”.
Il tema della salute e dell’ambiente
Questo per ciò che concerne chi contesta l’utilità dell’infrastruttura e il suo ritorno economico. Quanto agli altri temi sollevati, ovvero salute e ambiente, Trans Adriatic Pipeline sottolinea il fatto che i lavori verranno eseguiti in ottemperanza alle più recenti e stringenti norme nazionali e internazionali. La società infatti garantisce che saranno condotti dettagliati studi ambientali. Inoltre, saranno utilizzati tubi di acciaio da 48 pollici saldati in superficie. Tutte le saldature verranno sottoposte a un test automatico a ultrasuoni e ogni saldatura sarà sabbiata e ricoperta con un rivestimento protettivo anti-corrosione e per la protezione da danni meccanici.
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Una volta posati i tubi, si farà ulteriormente un controllo dell’integrità del gasdotto per mezzo di test idrostatici: i tubi verranno chiusi con collettori di prova e si pomperà dell’acqua con una pressione superiore alla pressione massima d’esercizio consentita per il gas. Infine, l’area di passaggio verrà riportata quanto più è possibile alla sua condizione originaria.
Laddove necessario, verranno predisposti meccanismi di controllo dell’erosione e sarà sparso altro terreno superficiale per favorire la ritenzione del suolo e la crescita della vegetazione. Ma questo procedimento “terrestre” riguarderà solo di striscio il nostro Paese, che sarà interessato dal TAP per 8 chilometri (degli 878 totali dell’infrastruttura). Tuttavia, ben 105 km di tubi correranno sul fondale dell’Adriatico. E qui si concentrano i timori maggiori dato che nessuno sa cosa potrebbe accadere sott’acqua e quali possibili disastri ambientali potrebbero riguardare una zona densamente abitata, pescosa e votata al turismo.
Da parte sua la società, oltre a brandire il decreto di compatibilità ambientale firmato nel 2014 dall’allora ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, spiega che: “L’uso della tecnica del tunnel sotterraneo per l’attraversamento della fascia costiera permette la realizzazione dell’opera senza alcuna interferenza diretta. Non ci saranno scavi sulla spiaggia, che resterà intatta perfino in fase di costruzione dell’opera. Il tunnel sotterraneo verrà infatti realizzato attraverso un pozzo di spinta a terra (circa 700 metri alle spalle della spiaggia) e giungerà in mare a circa 800 metri dalla costa, ad una profondità di oltre 25 metri. Da lì verrà raccordato alla sezione offshore della condotta che verrà poggiata sul fondale marino. Pertanto la balneazione, le attività di pesca e quelle turistiche non subiranno alcuna conseguenza dalla costruzione e dall’esercizio dell’opera”.
Quanto alla parte sottomarina e l’esigenza di mantenere intatto l’ecosistema, è spiegato che: “la presenza di Posidonia Oceanica [alga tipica del Mediterraneo ndR] nelle acque antistanti la spiaggia di San Basilio dove sarà realizzata l’uscita a mare del microtunnel è sporadica e comunque non localizzata nel percorso del gasdotto. Le macchie sparse della zona sono state mappate con precisione proprio grazie al lavoro compiuto da TAP. I risultati delle numerose campagne di rilevazione sono accessibili a tutti nella documentazione sottoposta a suo tempo per la Valutazione di Impatto Ambientale disponibile alla consultazione sul portale dedicato del Ministero dell’Ambiente e sono, come tali, a disposizione tanto della comunità scientifica e delle autorità preposte alla tutela dell’ambiente marino, quanto di qualsiasi cittadino”.
Questi, insomma, i dati e le ragioni di chi vuole costruire il gasdotto e chi invece vi si oppone. Ciascuno dei nostri lettori, dopo averli consultati e approfonditi anche per mezzo dei documenti linkati (che rimandano sia ai siti No TAP sia al portale del Ministero dell’Ambiente e della società interessata), si formi la propria idea liberamente. Ciò di cui invece un’opera importante come il TAP non ha bisogno è di una sterile lotta politica basata sul “sentito dire”.
Di mezzo ci sono miliardi di euro, migliaia di posti di lavoro, diritti fondamentali dell’individuo e persino il nostro futuro, considerato che infrastrutture simili sono persino in grado di influenzare la politica internazionale (non a caso, il presidente USA Donald Trump aveva approfittato della visita a Washington del premier Conte per raccomandargli: «Vorrei vedere il TAP completato». «Il progetto Tap serve», aveva ripetuto il Presidente dell’Azerbaigian İlham Əliyev al nostro Capo di Stato, Mattarella). Per questo, la situazione merita dibattiti ben più seri e ragionati. Meno slogan e più ricerca.