Soprannominato “A68”, galleggia nelle acque dell’Antartide. Può rappresentare un pericolo? StartupItalia! ha intervistato il professore Valter Maggi che ha fatto 10 spedizioni nel Polo Sud. “Se esiste un mal d’Africa, esiste un mal d’Antartide”
Effetto fa effetto. L’iceberg grande “poco più” della Liguria che si è staccato nel luglio 2017 dalla penisola antartica Larsen C ha colpito l’opinione pubblica di tutto il mondo. Ma se questi giganti galleggianti fanno ormai parte dell’immaginario collettivo, come spesso accade le opinioni a riguardo non coincidono con le conoscenze scientifiche in materia. Nessun rischio collisione stile Titanic: le navi dispongono di tecnologie adeguate; il problema dell’innalzamento del livello degli oceani non sussiste poi se il ghiaccio di un iceberg è di origine marina (dunque di acqua già presente).
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Il processo che porta alla formazione degli iceberg, dovuto allo scioglimento dei ghiacci, è noto come calving, un fenomeno di per sé non preoccupante perché legato al ciclo vitale di luoghi estremi come l’Antartide. Senza gli iceberg, per intenderci, l’Antartide non farebbe altro che espandersi riportandoci all’era glaciale. D’altra parte, l’aumento della formazione di iceberg registrato negli ultimi decenni da ricercatori e scienziati è correlato al cambiamento climatico in atto. Casi simili riguardano non soltanto il Polo Sud, ma anche i ghiacciai di Groenlandia, Patagonia e Alaska.
Il caso di A68, l’iceberg più grande della Liguria
Il nome è bizzarro, ma inevitabile quando serve saper riconoscere questi oggetti di dimensioni considerevoli dai satelliti. Il codice con cui un iceberg viene battezzato serve proprio a monitorarne gli spostamenti in mare, dove i rischi di collisione con le navi restano comunque bassi in Antartide. Staccatosi tra il 10 e il 12 luglio 2017, il gigante di ghiaccio A68 ha una superficie di 5,8mila chilometri quadrati (la Liguria è poco sopra i 5,4mila), dimensioni sottratte alla penisola antartica Larsen C, nome questo invece legato a una persona, il navigatore norvegese Carl Larsen che a fine ‘800 raggiunse questo ramo del continente.
Ma se una piattaforma di ghiaccio simile si stacca dall’Antartide è per forza colpa del cambiamento climatico? Ne ha scritto Adrian Luckman, professore di glaciologia alla Swansea University, convinto che sia “troppo presto per spiegare la formazione dell’iceberg A68 puntando il dito contro il cambiamento climatico”. Quel che si può dire è che la formazione di giganti simili sta cambiando la geografia dell’Antartide.
We were wondering what became of that block of ice a quarter the size of Wales that broke off #Antarctica a year ago. It's been doing the iceberg shuffle. #A68 #IcebergA68 https://t.co/tlREKHzQ9W @CopernicusEU @ESA_EO @MIDASOnIce @adrian_luckman pic.twitter.com/QkkzuPrOMl
— Jonathan Amos (@BBCAmos) July 9, 2018
Parola all’esperto
Larsen A e Larsen B sono le altre aree della stessa penisola antartica interessate dal fenomeno degli iceberg. Il professor Valter Maggi, docente di “Cambiamenti climatici” e “Geografia fisica” all’Università Bicocca di Milano, ha testimoniato a StartupItalia! l’importanza della ricerca in ambienti simili, soprattutto perché è da qui che si legge la storia del clima sul pianeta. Maggi vanta 10 spedizioni in Antartide tra gli anni ’90 e il 2008, con periodi di permanenza che si potevano spingere fino a tre mesi.
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«In Antartide è molto complesso stabilire il cosiddetto bilancio di massa – spiega il professore – perché si tratta di confrontare il livello di precipitazioni, e quindi di nuova acqua, con la quantità di quella che si stacca con gli iceberg. Parliamo di analisi su un continente che è grande una volta e mezzo l’Europa». Restano i satelliti come strumenti a disposizione della ricerca per monitorare la geomorfologia di questi luoghi. «È vero però che il processo di calving ha subito una accelerazione negli ultimi trent’anni».
Secondo il professore Valter Maggi la situazione più critica riguarda proprio la regione da cui si è formato l’iceberg A68 nel 2017. «Larsen A, B e C sono già di per sé regioni più “calde” rispetto a quelle interne dell’Antartide, ma dietro gli iceberg che qui si formano c’è anche l’aumento delle temperature degli ultimi decenni». L’innalzamento del livello dei mari non sarebbe però il problema più grave derivante dalla fusione dei ghiacciai. «Il problema non riguarda il ghiaccio marino, che è acqua già presente semplicemente in un altro stato fisico». La questione, come già scritto, cambia però con i ghiacciai continentali. «Sì, ma sul totale degli oceani stiamo parlando davvero di innalzamenti millimetrici del livello delle acque», rassicura l’esperto.