Facebook e gli altri giganti della Silicon Valley puntano sulla realtà virtuale per aumentare la consapevolezza degli utenti. E se fosse solo una strategia commerciale?
Qualche settimana fa Mark Zuckerberg è stato in Porto Rico, per conoscere da vicino i danni delle alluvioni che hanno colpito la regione. Un intento nobile, senza ombra di dubbio. Peccato che il fondatore di Facebook non si sia mai mosso dal suo quartier generale in California: tutto quello che ha visto lo ha fatto grazie alla realtà virtuale, nel corso di un evento per promuovere una nuova applicazione del celebre social network. A molti è sembrato davvero di pessimo gusto sfruttare le sofferenze di migliaia di persone per far conoscere il proprio prodotto commerciale, una mancanza di sensibilità che gli ha fatto piovere addosso critiche da tutto il mondo.
Le scuse di Mark e l’empatia
Zuckerberg si è subito scusato, spiegando che «uno degli aspetti più importanti della realtà virtuale è l’empatia. Le nuove tecnologie potrebbero far crescere la consapevolezza di quanto sta succedendo in altre parti del mondo».
Il creatore di Facebook ha toccato un aspetto fondamentale per il futuro della realtà virtuale. L’empatia, nel mondo dell’industria tecnologica, non è solo un sentimento, ma una strategia commerciale. Riuscire a creare un’esperienza positiva, facendo immedesimare l’utente con le esperienze di altre persone, è il segreto dietro il grande successo dei social network. Ora molti nella Silicon Valley credono che il passo successivo sia proprio la realtà virtuale.
I più entusiasti l’hanno definita la “macchina dell’empatia”, capace di farci immergere nei panni di altre persone in situazioni lontanissime da noi. Ma è davvero così? «Non è necessariamente vero – spiega Ainsley Sutherland su BuzzFeed – la realtà virtuale può generare sentimenti molto diversi rispetto all’empatia. Di sicuro è un’idea molto utile per l’industria tecnologica».
La macchina dell’empatia
I campi in cui fino ad oggi è stata maggiormente utilizzata la realtà virtuale sono quelli dei giochi violenti e quelli a sfondo sessuale. Se vorrà diventare un mezzo di massa, la tecnologia dovrà deviare da questi utilizzi specifici (per di più imbarazzanti, nel caso del porno). L’empatia potrebbe allora diventare la chiave per far uscire la realtà virtuale allo scoperto e farla identificare con un fine socialmente utile e degno di lode. E’ in questa direzione che si sta muovendo l’industria della Silicon Valley, e alla luce di queste considerazioni le parole di Zuckerberg dopo l’episodio del Porto Rico assumono tutto un altro significato.
Questo movimento culturale che punta a sfruttare l’empatia per veicolare la realtà virtuale (e viceversa) deve però fare i conti con la generale disillusione nei confronti della tecnologia, che non viene più vista solo come uno strumento per migliorare il mondo, ma che anzi sta mostrando tutti i propri limiti quando è chiamata a fronteggiare, lo si è visto nel caso di Facebook, ondate di odio, violenza o razzismo. La realtà virtuale potrebbe rappresentare una strada per cambiare questa tendenza, se usata nel modo giusto. Enti umanitari, e le stesse Nazioni Unite, hanno già cominciato a sfruttarla per sensibilizzare le persone su alcune situazioni. Non saranno però queste iniziative a rendere la realtà virtuale un fenomeno di massa: sarà la “macchina dell’empatia” che sta partendo dalla Silicon Valley.