Mentre Elon Musk sogna di raggiungere il pianeta rosso, la scienza si interroga sulle metodologie più veloci e sicure per gli astronauti che attraversano lo spazio
Qual è il pericolo più grande che devono affrontare gli astronauti diretti a Marte? La partenza? Quando gli astronauti sono seduti su una bomba da migliaia di tonnellate di combustibile superinfiammabile. La “noia” del viaggio e la convivenza forzata in ambienti ristretti? Che potrebbero generare stress e conflitti nell’equipaggio. La manovra di inserzione in orbita marziana seguita dall’ammartaggio? È in questi momenti cruciali che sono state perse la maggior parte delle sonde sfortunate che sono circa la metà delle sonde lanciate verso il pianeta rosso. Qualsiasi risposta abbiate scelto rappresenta una fase pericolosa del viaggio, ma nessuna è tanto potenzialmente (e sicuramente) letale come l’invisibile pioggia di particelle accelerate che riempie le spazio interplanetario.
I pericoli per gli astronauti vengono dal Sole
In parte, si tratta di particelle originate da corpi celesti fuori dal sistema solare, nella Galassia o anche più lontano, in altre galassie. In parte si tratta dei capricci del nostro Sole che, di tanto in tanto, produce dei brillanti in grado di accelerare particelle che poi viaggiano nel sistema solare. È proprio la componente solare quella più pericolosa per gli astronauti perché si tratta di particelle relativamente pesanti e relativamente lente che, quando colpiscono gli esseri umani, si fermano nei tessuti muscolari e scheletrici depositando la loro energia e uccidendo le cellule che hanno incontrato. Sulla Terra godiamo della protezione del campo magnetico che, oltre a fare orientare le bussole, ci fa da scudo e devia la particelle cariche. Quelle che riescono ad entrare trovano l’atmosfera e interagiscono con i suoi atomi e le sue molecole producendo le aurore (boreali e australi). Una volta allontanati dallo scudo magnetico della Terra, gli astronauti devono affrontare il nemico invisibile perché il corpo umano può sopportare solo un certo quantitativo di radiazione. Superata la soglia, i danni, che magari arriveranno mesi o anni dopo, sono irreversibili.
Viaggi più brevi e più sicuri
Mentre si studiano modi per proteggere gli astronauti specialmente durante le eruzioni solari (per esempio con scudi magnetici), il metodo più semplice per limitare la quantità di radiazione è diminuire i tempi di transito, velocizzando il viaggio. Dal momento che la propulsione chimica è quello che è (e la capacità di spingere è limitata dalla quantità di carburante disponibile), da anni si studiano tecniche di propulsione alternative da accoppiare alla propulsione chimica. Bisogna aggiungere che quando si parla di propulsione bisogna distinguere quella potente, ma breve (come quella chimica che vediamo in azione durante i lanci dei razzi), da quella modesta, ma che può agire per tempi lunghi e che, proprio per la sua azione continua, può essere usata per accelerare le sonde già messe in orbita di trasferimento, per esempio Terra-Marte. Con l’eccezione delle vele solari, che si fanno spingere dalla radiazione del Sole, tutti i motori che vengono considerati si basano sul principio di azione e reazione, cioè producono un getto di gas accelerato che, a sua volta, spinge in avanti la sonda.
Come funzionano i motori a ioni
I motori più gettonati, perché considerati più efficienti e sicuri sono i motori a ioni: delle affascinanti macchine che, applicando campi elettrici e magnetici, prima ionizzano e poi accelerano atomi di Xenon, un gas nobile abbastanza pesante e facile da ionizzare, un processo durante il quale l’atomo perde uno o più dei suoi elettroni più esterni e diventa uno ione carico che può essere accelerato da un campo elettrico. Convogliando gli ioni accelerati attraverso un ugello si realizza un getto che genera una spinta modesta ma continua che, poco a poco, accelera la sonda. L’accelerazione è tanto più forte quanto maggiore è la velocità del gas del getto, quindi quanto maggiore è l’accelerazione. Essa, a sua volta, dipende dall’entità del campo elettrico acceleratore che, ricordiamolo, non nasce dal nulla. Per generare una differenza di potenziale ci vuole energia, quindi la potenza di un motore a ioni è determinata dalla potenza disponibile a bordo di una sonda interplanetaria che, generalmente, è ricavata dai pannelli solari. La quantità di gas richiesta è modesta (meno del 10 per cento del combustibile richiesto per una propulsione chimica che generi lo stesso spinta) e il motore non è a rischio esplosione e non produce radiazioni nocive per gli astronauti.
Il progetto del motore nucleare
Wernher von Braun, invece, non aveva dubbi: una missione marziana doveva basarsi su un motore nucleare. All’indomani dello sbarco sulla Luna, quando era diventato un eroe nazionale, propose di continuare la corsa alla spazio con la conquista di Marte. Ci pensava dalla fine degli anni ’40 quando aveva iniziato a scrivere i suoi libri sulla conquista di Marte. Provò anche a scrivere un romanzo di fantascienza realistica. Evidentemente il prodotto non lo soddisfece e rimase in un cassetto fino a pochi anni fa, quando venne pubblicato negli Stati Uniti. L’anno scorso è arrivata una versione italiana che Giovanni Bignami ha cercato di condensare per evitare inutili lungaggini e renderla più leggibile (Progetto Marte. Storia di uomini e di astronavi, edizioni Dedalo). È un condensato di science fiction del secolo scorso, ma la chiarezza dello schema di von Braun è stupefacente. Aveva già capito tutti i problemi da affrontare. Si trattava solo di affinare le tecniche. Purtroppo il Congresso non approvò il suo piano visionario e nessun umano ha calpestato le sabbie di Marte. Forse Elon Musk avrà più fortuna.