Le scelte politiche. Le tecnologie e le startup come strumento di pace. La scelta di fare una politica industriale vera. Le idee di Shimon Peres, morto a 93 anni per costruire quella che oggi conosciamo come Startup Nation
«Per tutta la vita ho lavorato per assicurare che il futuro di Israele fosse ancorato alla scienza, alla tecnologia ed ad un impegno morale incrollabile. Mi hanno chiamato sognatore. Ma oggi, quando guardo Israele, tutti possono vedere chiaramente che maggiore è il sogno, più spettacolari sono i risultati». Parola di Shimon Peres, leader laburista, ex Presidente di Israele, scomparso a 93 anni, la mattina del 28 settembre.
Neanche tre mesi prima, quelle parole, che sanno di testamento spirituale, pronunciate nel corso dell’inaugurazione a Jaffa di un centro di innovazione, nato per mostrare come Israele abbia raggiunto livelli di avanguardia nella scienza e nella tecnologia. Ma soprattutto per raccontare Israele come una “startup nation”. Una chiave? Per Peres «l’innovazione costruisce la pace». E proprio per la pace ha preso il Nobel, nel 1994.
Il ruolo di Shimon Peres per costruire una Startup Nation
Già , Israele startup nation. Ma perché? E soprattutto quale è stato il ruolo di Shimon Peres? La spinta è arrivata dal Governo almeno una ventina di anni fa. Peres, nella sua lunga carriera, è stato Primo Ministro (a capo del Governo nei periodi 1984-1986 e 1995-1996. Ma anche ministro degli Esteri nei periodi 1986-1988, 1992-1995 e 2001-2002, della Difesa, dei Trasporti, delle Finanze) decisivo è stato il supporto del Governo, che ha stimolato la nascita di una ventina di incubatori per promuovere la ricerca e la formazione di imprese.
Importante anche il supporto che lo stato di Israele ha dato per la nascita del venture capital. Chemi, figlio di Shimon Peres, è presidente di Pitango Venture Capital, una delle più importanti società israeliane di venture capital. In un’intervista al Corriere della Sera ha giustificato così la sua passione per la tecnologia, le startup e la loro crescita: «La scienza non ha confini, non si può conquistare con la guerra e non tollera differenze, ma i suoi effetti sono uguali per tutti. Nel mondo globale se discrimini puoi essere discriminato da altre persone. Questo ha conseguenze sulla democrazia, che sta subendo molti cambiamenti. Per esempio, la diversità diventa legittima: oggi democrazia non è solo il diritto di essere uguali ma è l’uguale diritto di essere differenti. Cambiano le forme di partecipazione: attraverso computer, sms o cellulari i giovani chiedono l’opportunità di esprimere inclinazioni o speranze, come individui ».
Non un miracolo, ma scelte di politica industriale. Obiettivo, stimolare la fame d’innovazione in una terra giovane, senza risorse naturali e senza petrolio. E che oggi ha una densità di startup tra le più alte al mondo (al top su biomedicale e nanotech), non in una zona alla maniera della Silicon Valley, ma a macchia di leopardo, in aree disseminate su un territorio difficile: i distretti industriali. Alla penuria di risorse si è risposto con l’innovazione tecnologica.
Quando declinò lo “chutzpah” sulle startup israeliane
«Israele – disse Peres – è qualcosa di più di un paese, è un modo di pensare con una particolarissima disposizione d’animo che in ebraico si chiama chutzpah: un atteggiamento di intraprendenza temeraria, uno spirito antigerarchico e anticonformista che permea la società e le istituzioni, dalla scuola all’esercito e favorisce l’affermazione delle nuove idee. Questo fa di Israele una perenne startup».
Israele ha costruito la sua essenza di “paese laboratorio” sul concetto di kibbutz come centro d’incubazione, sulla trasformazione del contadino in uno scienziato. Tutto è partito dall’agricoltura, infatti, ovvero dall’ingegno di trovare dei modi hi-tech per rendere produttiva la terra. La chutzpah israeliana ha fatto il resto, contribuendo a far sì che il paese superasse ogni pericolo e ogni minaccia.
L’uomo degli accordi di Oslo
La stampa internazionale lo ricorda come falco prima e colomba dopo. Durissimo nei primi anni della carriera (fu direttore generale del ministero della Difesa a 30 anni, in piena guerra del Sinai). Poi uomo di pace, uomo degli accordi di Oslo. Nel 2007 divenne presidente e riconosciuto come icona di Israele nel mondo.
«Voglio – disse in una delle ultime interviste – che il nostro Paese si basi sì su radici storiche molto profonde, ma anche che sia proiettato verso il futuro, verso i successi della scienza» disse Peres in una delle sue ultime dichiarazioni. Il presidente americano Barack Obama lo ha salutato definendolo un uomo di Stato il cui impegno per la sicurezza di Israele e la ricerca della pace «è stato radicato nella sua base morale inscalfibile e nel suo ottimismo instancabile. Per Obama Peres guardava al futuro «guidato da una visione della dignità umana e di un progresso verso il quale lui sapeva che le persone di buona volontà avrebbero potuto avanzare insieme». I funerali il 30 settembre a Gerusalemme.
Alessio Nisi
Carlotta Balena