OBI è un robot che vuole restituire la capacità di nutrirsi da soli ai malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica. Pesa poco più di 3 kg e le parti dove viene posato il cibo possono essere messe in lavastoviglie. La batteria ha un’autonomia di 4 ore.
«Mangiare non è solo un bisogno dell’essere umano. È anche un’esperienza intima, un simbolo di indipendenza». Nel 2011, Jon Dekar frequentava la Dayton University per diventare ingegnere meccanico. In quel periodo ebbe l’intuizione per costruire il primo prototipo di OBI, un robot che voleva restituire la capacità di nutrirsi da soli ai malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica e altre gravissime malattie. Da allora il progetto è cresciuto:
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Com’è fatto OBI
OBI è costituito da una struttura centrale divisa in quattro scomparti più piccoli, nel quale inserire le varie pietanze, montati su una piattaforma bianca. A questa è collegato un braccio robotico che ha in dotazione un cucchiaio disegnato su misura. Per farlo funzionare basterà che un assistente insegni al robot che tipo di azione deve compiere e gli mostri qual è la destinazione finale del cibo. Da quel momento in poi OBI sarà in grado di replicare, infinite volte, quelle stesse azioni: «Molte persone si vergognano nel dover chiedere, tutti i giorni, l’aiuto dei propri familiari. Nessuno vuole sentirsi di peso alle persone a cui vuole bene».
Jon, con l’aiuto suo padre, ha fondato DESῙN, l’azienda che si è occupa dello sviluppo delle funzionalità e del design del robot
Come funziona OBI
Il dispositivo funziona tramite due interruttori: uno regola il comparto in cui è stato messo il cibo mentre l’altro fa muovere il braccio robotico. I movimenti sono molto precisi e il cucchiaio è in grado di raccogliere tutto quello che viene collocato nelle ciotole. Tutto con estrema semplicità, compresi i chicchi di riso più piccoli.
Pesa poco più di 3 kg e le parti dove viene posato il cibo possono essere messe in lavastoviglie. La batteria ha un’autonomia di 4 ore
Inoltre il braccio robotico è in grado di riconoscere se tra la piattaforma e la destinazione sia presente un ostacolo. In quel caso indietreggia e attende un nuovo comando per completare la sua azione. Il suo utilizzo è rivoluzionario: «Per la prima volta mi sono potuto sedere a tavola con mia moglie e far sì che potesse mangiare senza doversi occupare di me». Ha detto David a Quartz: «Ridurre il carico su di lei ha cambiato il senso della mia vita». La missione di tutte le tecnologie: migliorare il futuro delle persone.
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La storia di David Hare
La storia di OBi corre su un binario parallelo a quella di David Hare, 56 anni, afflitto da SLA. Nel momento in cui Jon iniziava a progettare il suo robot, infatti, a David veniva diagnosticata la malattia che gli avrebbe cambiato per sempre la vita. Una vita che, fino a quel momento, tra i campi da golf, il paracadutismo, le gare con i motoscafi era particolarmente attiva. Una routine spazzata via da un male, degenerativo, che rapidamente lo sta portando a perdere il controllo di ogni muscolo e di ogni movimento.
«Ho perso tante cose. Ma OBI mi ha restituito qualcosa di nuovo». E la storia di David non riguarda solo un ristretto gruppo di persone. Solo negli USA si registrano oltre 5mila casi nuovi di SLA all’anno: «Parliamo di una malattia che, spesso, concede pochi anni di vita a chi la contrae e che cambia per sempre anche quella di chi sta loro accanto» ricorda Jon. E accanto a questa storia c’è quella di Jasmaine a cui le persone hanno regalato un OBI con una campagna crowdfunding dedicata.