La misura proposta: usare i sistemi di identificazione automatica delle imbarcazioni (e altri big data) non solo per evitare incidenti tra navi ma anche per salvare i cetacei e altri animali.
Cosa succederebbe se usassimo gli AIS, i sistemi di identificazione automatica delle imbarcazioni, non solo per evitare le collisioni tra navi ma anche quelle con i cetacei (e il resto della fauna marina)? L’idea è della Wildlife Conservation Society, che insieme a partner come la NOAA (Amministrazione Nazionale Oceanica ed Atmosferica) e Google vede in questi sistemi un possibile strumento a tutela della fauna selvatica, oltre che delle persone e del commercio.
Evitare incidenti e salvare gli animali
Un rapporto, da poco pubblicato sul Bulletin of Marine Science, spiega come gli AIS siano diventati nel tempo una fonte preziosa di dati sul traffico marittimo anche per le aree più remote degli oceani. Le imbarcazioni dalle 300 tonnellate in su sfruttano il sistema di tracciamento automatico per comunicare i propri dati, ma questo «ha anche il potenziale di aiutarci a minimizzare gli effetti negativi dei trasporti in mare sulla fauna selvatica», spiega Martin Robards, direttore del WCS Beringia Program.
Il trasporto marittimo rappresenta più o meno il 90% del commercio globale e uno di questi sistemi può processare fino a 4 milioni di messaggi al giorno, monitorando la posizione di qualcosa come 130.000 imbarcazioni contemporaneamente.
Quanti cetacei muoiono dopo essersi scontrati con le navi?
Il problema è irrisolto ma non recente e l’International Whaling Commission cerca da anni di stimare, ad esempio, il numero di cetacei che muoiono per impatto con le imbarcazioni. Nelle acque trafficate al largo della costa orientale di USA e Canada, questi incidenti potrebbero fare la differenza tra estinzione e sopravvivenza per specie come la balena franca nordatlantica. Nel mar Mediterraneo, tra gli anni 1972 e il 2001, circa il 16% delle balenottere comuni spiaggiate mostrava chiari segni dell’impatto. Altri studi portano la percentuale fino al 26%.
Il 30% delle rotte commerciali parte, arriva o fa tappa nel Mediterraneo
Lo spiega un rapporto del 2013, in ogni momento sono presenti almeno 2.000 navi mercantili, in aumento di anno in anno. I dati raccolti dall’AIS permetterebbero di capire dove le rotte commerciali si sovrappongono ad habitat da tutelare, a rotte di migrazione dei cetacei, non solo nel Mediterraneo dove il traffico intenso è una realtà assodata ma ad esempio nell’Artico, dove il passaggio di navi è in aumento e l’urgenza di proteggere l’ambiente più acuta che mai.
L’applicazione di questi dati
Per molte specie marine elaborare piani di conservazione è particolarmente complesso e, come in questo caso, le strategie possono servirsi di sistemi che con la tutela della fauna hanno poco a che fare. Eppure potrebbero contribuire a mitigare l’impatto in modo significativo: per dimostrarlo, i ricercatori si sono serviti di balene dotate di tag per individuare le rotte di spostamento dei cetacei.
Hanno avuto la conferma che nel canale di Panama la sovrapposizione tra animali e imbarcazioni è notevole, paragonabile a quella tra le rotte della balena franca nordatlantica, di cui parlavamo prima, con le imbarcazioni che entrano nel porto di Boston.
La teoria c’è tutta, come passare alla pratica? I dati a disposizione degli AIS vanno processati in maniera standardizzata in modo che possano davvero diventare strumenti di valenza globale, tagliando i costi delle analisi e promuovendo la collaborazione tra diversi settori. L’industria privata che fornisce il sistema, prima di tutto, con gli enti di ricerca che vorrebbero farne uso per la conservazione delle specie. «Riuscire davvero a fare conservazione nei nostri oceani richiederà fare dei passi avanti a livello tecnologico e instaurare collaborazioni tra diversi settori», dice Caleb McLennen, direttore esecutivo del WCS Marine Conservation Program.
Così i big data raccolti a livello globale troverebbero applicazione locale nella tutela di habitat minacciati e specie a rischio di estinzione.
«Mentre il traffico navale sempre più intenso inizia a congestionare l’Artico, in cui il ghiaccio scarseggia sempre di più, il settore della conservazione deve investire su strumenti come questo per proteggere quei mari che ancora sono incontaminati».
Crediti immagini: Pixabay, Wbartoszy Wikimedia Commons CC BY-SA 3.0