La Gran Bretagna è di nuovo in avanscoperta nel contrasto all’obesità infantile: dopo gli stop alle promozioni in tv decisi quasi dieci anni fa, l’autorità pensa al bando di zuccheri, grassi e sale sulle piattaforme digitali
Il tema è aperto da anni. E per certi versi ricorda un po’ quello delle pubblicità delle scommesse in tv e su internet, sia nelle loro terribili conseguenze sui minori che sugli adulti. Stiamo parlando degli spot del junk food trasmessi a corredo o all’interno di contenuti pensati per i bambini.
Basti pensare che un’indagine di un paio di anni fa, firmata dall’università di Liverpool per conto della British Heart Foundation, individuò che in Gran Bretagna un’inserzione su quattro in onda nella fascia fra le 20 e le 21 promuoveva cibo spazzatura. Tra queste, il 25% parlava di alimenti poco sani, il 13% di catene di fast food e il 12% di cioccolato e dolci. Non è l’unica indagine di questo tipo – un’altra era stata pubblicata l’anno prima su Public Health Nutrition provando l’incidenza di quegli spot nel sovrappeso e nell’obesità infantile anche per i bambini italiani – e lo stesso scenario è vero sostanzialmente ovunque.
La decisione dell’autorità britannica
Tanto vero che la Gran Bretagna, nonostante i pessimi risultati della ricerca dell’ateneo di Liverpool possano far sembrare il contrario, aveva deciso già da tempo di vietare questo genere di pubblicità televisiva fra il 2007 e 2008. In Svezia, invece, tutte le pubblicità alimentari indirizzate ai minori di 12 anni sono state fatte fuori dal lontanissimo 1991. Altri Paesi, come Stati Uniti e Australia, hanno invece tentato di puntare sull’autoregolamentazione dei produttori, delle agenzie e delle emittenti per limitare lo spazio venduto in tv ai cibi con elevato contenuto calorico. Adesso però, visto che anche i più piccoli trascorrono la maggior parte del tempo utilizzando risorse online, pare che stia per scattare una nuova fase: quella dei divieti rivolti a internet.
Il divieto su internet
Ecco perché, secondo la Bbc, gli spot che promuovono prodotti assimilabili a cibo spazzatura potrebbero presto essere vietati anche dai contenuti trasmessi online in streaming. Questo, almeno, secondo l’autorità di controllo britannica sulla pubblicità. Il Comitato per la pratica pubblicitaria, una delle emanazioni dell’Advertising Standards Authority che stabilisce le regole alle quali gli inserzionisti devono attenersi, lancerà prima dell’estate una consultazione pubblica sull’argomento per dire una parola finale. Questo genere di divieto potrebbe colpire tutte le principali piattaforme, a partire da YouTube passando per altri servizi locali come Itv Hub. Senza dimenticare che i più popolari social network, a partire da Facebook, stanno di fatto diventando pachidermiche piattaforme video e in generale ospitano miliardi di dollari di pubblicità per altro spesso molto raffinate.
I pre-roll nel mirino
Zuccheri, grassi e sale. Questi i principali nemici della salute dei bambini già messi al bando nove anni fa dai programmi del piccolo schermo a loro destinati, in particolare da quelli per gli under 16, dall’Ofcom, l’authority che si occupa delle comunicazioni. Adesso la campagna trasloca in rete anche perché moltissime compagnie hanno imparato a piazzare i cosiddetti pre-roll advertising, i brevi messaggi la cui visione è spesso in tutto o in parte obbligatoria e che vengono trasmessi prima che il video selezionato venga riprodotto, cioè in apertura di cartoni, video divertenti e virali, clip visualizzate da fasce di pubblico giovanile.
I dati
Secondo l’organismo guidato da Guy Parker nel 2014 sono state 13.477 le lamentele indirizzate a oltre 10mila spot pubblicitari evidentemente scovati dai genitori nei più diversi siti internet visitati insieme ai figli. Il fenomeno è insomma importante e soprattutto va risolto in termini di contraddizioni con la tv: da una parte i contenuti per i bambini sono protetti da questo genere di promozioni, dall’altra no. Non è una faccenda secondaria. Secondo il National Children Measurement Programme for England un bambino inglese su dieci è obeso già all’inizio della scuola dell’obbligo. Rapporto che sale a uno su cinque alla fine del ciclo primario. Da Taiwan al Canada passando per il Messico, iniziative simili – anche se non espressamente dedicate al web, quella britannica sarebbe la prima indirizzata allo streaming – sono state adottate da diversi anni in mezzo mondo. L’Italia non dispone invece di divieti del genere.