Come è nato l’ecosistema delle startup nella Grecia del referendum che adesso teme per il proprio futuro. Un po’ di numeri e una breve storia con alcuni dati essenziali da sapere
Difficile parlare di startup in Grecia il giorno dopo il referendum che ha lasciato il paese (e l’Europa) in un gineprario di scenari in cui è difficile districarsi. Eppure un’ecosistema di aziende innovative in Grecia c’è. E guarda con molta attenzione a ciò che sta succedendo in queste ore. E a quello che succederà nelle prossime.
I numeri essenziali dell’ecosistema greco
Partiamo con i numeri. Edeavor Greece, sezione locale della no profit della cultura imprenditoriale nel mondo, ha raccolto un po’ di dati raccontando che dal 2010 ad oggi le startup in Grecia sono diventate da 16 (sedici) a 144 nel 2013. Oggi in attesa di dati ufficiali, si pensa che dovrebbero essere circa 500, cresciute anche grazie al programma governativo StartupGreece. Anche il valore degli investimenti è cresciuto con il diffondersi della cultura digitale. 500 mila euro di finanzimenti raccolti nel 2010, 42 milioni nel 2013. Lontani dai livelli italiani (129 milioni nel 2013) comunque una cifra considerevole per un paese che si è mosso con ritardo anche rispetto all’Italia. E dove la cultura digitale fatica ad attecchire, con gravi conseguenze per tutto il tessuto economico, rimasto ancora troppo ancorato ai settori tradizionali. Perché dietro la crisi della Grecia c’è anche una crisi del digitale (la Grecia è l’unico paese a non aver nominato un digital champion. Non che avrebbe permesso un esito diverso alla sua crisi, ma è a suo modo indicativo).
While the ecosystem matures and more startups succeed we are positive that Athens will become an important hub for southeast Europe and West Asia
Ad ogni modo la crescita dell’ecosistema greco, che adesso trema per i possibili effetti del referendum, è merito di un programma di sviluppo dell’economia digitale delle piccole e medie imprese innovative. Si chiama Jeremie program. E’ stato fatto in collaborazione con l’odiata Banca centrale europea il Fondo europeo di investimento (lo stesso che collabora con quello italiano di investimento alla creazione di un fondo di fondi europeo, il fondo Caravella, per gli investimenti in startup innovative, ne abbiamo parlato qui). In particolare Jeremie facilita l’accesso al credito per queste imprese. La nascita di un ecosistema è dovuto, dicono gli analisti, in larga parte ai programmi europei di finanziamento.
I 70 milioni alle aziende dal programma Jeremie
La Grecia è stata la prima nazione a beneficiare di Jeremie. E lo ha fatto alla grande. Le risorse di Jeremie, si legge nel sito dell’Unione europea, sono state portate nei bilanci delle startup e delle pmi greche attraverso quattro fondi di investimento (Odyssey, Open Fund, Elikonos e PJ Tech Catalyst) in due fasi. Dal 2006 al 2007 la prima e dal 2007 al 2015 la seconda. 70 milioni di euro in tutto arrivati alle piccole imprese greche.
Secondo i dati ufficiali, hanno avuto un buon impatto sull’ecosistema locale. Nel 2013 hanno rappresentato oltre i due terzi degli investimenti seed ottenuti dalle startup. Oltre la metà degli investimenti è andata nel settore hi-tech e in 29 società che operano nel settore biotech, fintech, media, agri-food, turismo, energia e ecommerce. Finanziamenti che hanno dato una grossa mano alla crescita di un’ecosistema che era quasi zero. E che ora rischiano di sparire.
9 su 1.000 le aziende greche di Horizon 2020
Ma se le aziende greche sono state abili a ottenere i fodni di Jeremie per le Pmi, lo sono state meno per quanto riguarda un’altro programma europeo. Horizon 2020. Solo 9 su oltre 1000 aziende che hanno passato la fase uno di finanziamento sono greche (le italiane sono 109, le spagnole 129 per rimanere in area Mediterraneo). Ad ognuna sono andati 50 mila euro, per un totale di 450 mila euro. Nessuna è passata alla fase successiva, quella corposa da un milione. Un dato che racconta un po’ del gap della Grecia: questo programma è finalizzato a spinoff e centri di ricerca che diventano imprese, startup ad alto potenziale di scalabilità. La Grecia, dicono i dati, non ne ha molte. Anzi.
A novembre 2014 Business Insider ha dedicato un reportage all’ecosistema greco. Il titolo dice tutto: Greece is becoming a huge startup incubator dispite economic crisis. Niente da dire, in ambiente anglosassone si guardava con molto ottimismo a ciò che accadeva dalle parti dell’Egeo. Chissà oggi. Aristos Doxiadis di Openfund, intervistato dalla rivista, aveva placidamente ringraziato l’Europa per il supporto, aggiungendo: «Sappiamo però che l’economia greca in questa forma attuale non ha alcun futuro. Abbiamo un mercato interno troppo piccolo. Dobbiamo guardare fuori, all’Europa, e immaginare un modello diverso».
Il piano Junker sul Digital single market (e quello di Ansip)
Tutto nel momento in cui l’Europa ha lanciato con Andrus Ansip un piano di sviluppo comunitario per l’ecosistema delle startup, e tre mesi dopo il lancio del piano Junker per il Digital single market europeo. Tre macro aree e 16 punti programmatici, che dovrebbero sciogliere ad uno ad uno i nodi che impediscono un corretto sviluppo del digital market. Oggi aziende e startup che comprano e vendono su internet non possono sfruttarne il pieno potenziale. Sembra paradossale, ma chi fa innovazione e fattura sul mercato digitale non può ancora attingere a piene mani nella vastità del mercato rappresentata dai 28 paesi dell’Unione europea. Senza contare che solo il 7 percento delle Pmi vende all’estero. Il piano dovrebbe aiutare a risolvere questo paradosso. E la Grecia ne è parte integrante, avendo previsto che avrebbe mosso sull’economia nazionale almeno 5 punti di Pil.
Un Hub hi-tech nel Mediterraneo
Secondo i dati’Hellenic Startup Association, una startup su 5 sopravvive dopo i primi 2 anni d’età in Grecia. I problemi evidenziati nel report del 2014? Scarse idee, assenza di potenzialità disruptive e troppi troppi freni per l’accesso al credito.
Ma c’è anche chi ha visto (e vede) nella crisi della Grecia una grande opportunità per le startup. Su Think Big, Mike Muzurakis, Co-founder e Community Manager di Mist.io, Bassi salari e alta formazione fanno della Grecia il posto migliore per investire dice Muzurakis (un discorso analogo viene fatto spesso anche per l’Italia, ad esempio). Questo crea «un sistema davvero attrattivo per startup e investitori». Inoltre «fare una startup significa investire un sacco di tempo in un’idea che potrebbe non essere un successo. E con una nazione con una disoccupazione giovanile del 60 percento, tempo ne abbiamo in abbondanza». Per il cofounder di Mist.io la Grecia potrebbe diventare proprio per le sue debolezze un hub di innovazione nel Mediterraneo. Se le saprà sfruttare bene. Cinico, ma con un fondo di ragione. Forse la Grecia non è fuori dai giochi. Forse ha appena iniziato a giocarsi la sua partita.
Arcangelo Rociola
Twitter @arcamasilum