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2011-06-29-1DollarBillFaceBook2

Non mi frega niente, so perfettamente che “dirlo adesso è facile”, io so che quello che vi sto raccontando è vero. Non c’è una morale, è solo una storiella, però vera. Due anni fa, per puro gioco e con una certa paura -quella del novellino che ancora sono-, ho dato mandato per acquistare alcune azioni di Facebook qualche settimana dopo la sua Ipo; grazie ad una buonissima dose di fortuna le comprai praticamente al minimo. In un anno ho guadagnato il 120% del capitale investito.

Il prestito in banca e l’investimento

Allora ho provato a fare una cosa un po’ diversa, l’anno successivo (che si è concluso a luglio 2014); ho investito tutto il mio capitale più il guadagno e chiesto un prestito alla banca, cioè ho fatto una leva 5. Mi hanno diligentemente e serenamente spiegato che tu metti il 20%, l’80% te lo prestano e su quel prestito paghi il 7% di interessi all’anno (quindi il 7% diviso 365 per il numero dei giorni effettivi in cui ti hanno erogato il prestito); essendo il tuo capitale investito il solo 20%, se l’azione che acquisti scende sotto l’equivalente 20%, naturalmente, quella perdita sarebbe stata solo mia: la banca si riprendeva il suo 80% intonso e in più sarebbero rimasti da pagare gli interessi. Decisi di farlo, di correre quel rischio. Il motivo era che quei soldi (quel 20% che avremmo rischiato) non li avevamo mai avuti davvero, e di quel totale la parte vera, quella che sul serio avevamo bonificato dal nostro conto corrente, era davvero esigua: valeva la pena di provare, era il costo del gioco, né più né meno che comprare i gratta e vinci per anni; da che ho uno stipendio mai una sola volta ho acquistato un biglietto di lotterie e simili, mai. Nella mia testa il rischio del gioco era accettabile.

A luglio del 2014 l’azione mi ha fatto guadagnare il 92,34% del mio capitale investito nella leva, nel periodo in cui il prestito veniva erogato: l’operazione mi è costata 121 dollari.

Quest’anno l’ho rifatto, cioè ho comprato ancora azioni di Facebook, per ora non sto facendo una leva, sto provando un altro modo che mi hanno spiegato, vediamo dove arrivo, magari questa volta va male: ho sempre avuto molta fortuna, ho sempre individuato i punti più bassi in cui comprarla e (mi imbarazza un po’) ho sempre (due su due) detto quando venderla: e ho davvero beccato il secondo decimale, sì, culo.

La percentuale più alta di quella del magnate russo

Ogni volta, per vendere, ho aspettato la seconda trimestrale, quella in cui Fb racconta come vanno le cose, i loro guadagni, e i loro guadagni sono la pubblicità. Parte del mio mestiere è comprare roba su Facebook, mettendo pubblicità nei loro sistemi; no, l’insider trading è un’altra cosa, però è vero: ho una posizione di vantaggio perché osservo molto da vicino lo strumento. Che è pubblico e gratuito, chiunque può fare altrettanto.

Il primo anno ho effettivamente creduto in una risalita. Immediatamente dopo l’Ipo che la collocava intorno ai 42 dollari per azione, c’è stato un crollo che l’ha fatta arrivare a 19, se non erro. Io la comprai intorno ai 23. Pensai che Facebook aveva (all’epoca) quasi un miliardo di utenti attivi, qualche cosa avrebbe fatto, e lo fece. Per la cronaca andare da 42 a 19 vuol dire perdere il 54,8%, ricordo che leggevo di questo magnate russo, uno di quelli che aveva avuto accesso all’Ipo (che di solito è un momento abbastanza protetto del mercato, ho poi capito, cui hanno accesso solo alcuni attori istituzionali), costui investì 200 milioni in Ipo: ogni volta che io perdevo 30 o 40 dollari pensavo a lui, costantemente sotto di 110 milioni. Quando poi io decisi di vendere, lessi che anche lui fece altrettanto: io stavo guadagnando il 120%, lui -in un modo che ho capito solo l’anno scorso- il 97%, fanno 194 milioni di dollari. Vedi che a portar pazienza…

La tentazione della pubblicità mobile

L’anno successivo decisi che era l’anno della pubblicità su mobile, la dashboard con la quale stavo lavorando era cambiata molto in quei mesi, e spingeva tanto sul mobile, sull’ottimizzazione delle pubblicità per il mondo smartphone e tablet. E io ho pensato: «Insomma, mettersi lì, rifare un pannello con il quale lavorano così tante persone, ha un costo: se lo fai, con questa frequenza, è perché ci stai guadagnando e, siccome sei un americano, vuoi guadagnarci ancora di più». Nella mia esperienza gli inglesi e gli americani lavorano in due modi leggermente diversi, pur sempre di matrice anglosassone: gli inglesi sono tutto sommato ancora dei colonialisti, se una country ha potenziale 10 ed è produttiva 8, va bene, purché non vada a 6 né a 5 e soprattutto purché non rompa troppo le scatole; gli americani se hanno una country con potenziale 10 che va 10 si incazzano: è il momento di buttare il cuore oltre l’ostacolo e andare a 12. Magari con la bamba ma a 12, su.

Quindi nella mia testa il ragionamento filava: se fanno abbastanza soldi per fare e rifare lo strumento con cui fanno soldi, è perché ne vogliono fare di più, è perché ne stanno facendo di più… stanno scalando. Andò così. L’anno scorso fu l’anno in cui Facebook fece più guadagni dal mobile che da tutto il resto; era una buca dichiarata eh, e quella dichiarazione, come tutti, l’ho letta anche io: in un anno, disse Zucherberg nel 2013, in un anno dobbiamo diventare una mobile company. L’hanno fatto. In un anno.

L’intuizione: Facebook stava pensando ai (nostri) soldi

E adesso arriviamo al perché ho comprato le azioni, anche quest’anno.

Scott Forstall è stato un manager di Apple, quello delle mappe piene zeppe di bug, quelle che scrivevi “Parigi” e lui ti portava a Cavi di Lavagna. Uno che ha costruito pezzo pezzo iPhone, che arrivava insieme a Steve Jobs da NeXT, un vice presidente dell’azienda attualmente più capitalizzata del mondo. Quella che ogni due giorni, per l’opinione di qualche guru, sbaglia qualche cosa e che al contempo dispone di una liquidità pari all’intero debito greco nei confronti degli stati membri dell’Unione Europea, chissà come fanno…

Scott fu licenziato da Apple quando si rifiutò di chiedere scusa per la figuraccia orrenda delle mappe. E non solo, ovviamente, il problema è che aveva realizzato una serie di cose fatte male. Venne licenziato. Il punto è che, come tutto il mondo, lessi che di fatto veniva messo sotto formalina ed esposto nell’androne del campus di Apple come esempio. No, scherzo: è che i manager di così alto livello, ma anche quelli più in basso, firmano con il sangue dei contratti che impediscono loro di riciclarsi in fretta, per farla breve. Conoscono ovviamente troppi segreti industriali per potersi mettere di nuovo sul mercato. Un’azienda come Apple ha un ciclo di circa 18 mesi, Forstall venne tenuto, fermo immobile, per 24. Non sarebbe accaduto se si fosse dimesso lui e se, con tanto di successivo contratto alla mano dei rispettivi avvocati, avesse dimostrato che andava ad occupare una posizione non competitiva. Anche questa cosa mi fece riflettere.

Mi tornò in mente l’anno scorso quando lessi che David Marcus ex capo di PayPal (eBay), si dimise e andò a lavorare in Facebook ricoprendo il ruolo di Vice Presidente dei prodotti di messaggistica. Uhm, cioè? Poteva essere l’inizio di un mio nuovo investimento? Ne parlai con tre persone, con Paolo, con Francesco e Laura. A qualcuno con mesi di distanza al mio primo ricciolo alla pancia.

Il mio pensiero era semplicissimo, talmente semplice che non era verosimile fosse un “colpo di genio”. Però valeva la pena approfondire. Cos’erano i prodotti e i servizi di messaggistica di Facebook? Sostanzialmente Fb-messanger e Whatsapp. Rispettivamente Circa 500 e 700 milioni di utenti, di base installato. Dove? A casa loro, nei loro computer? Be’ sì, nel senso se la vuoi vedere così sì, ma Facebook ha fatto di tutto per diventare una mobile company, di lì a breve avrebbe pure tolto la funzionalità di messaggistica dalla sua app ufficiale, obbligando tutti quanti a installarne un’altra, che già c’era, ma che da quel momento diventava di fatto essenziale; mentre i guru coprivano le pagine con i motivi per cui Facebook stesso sbagliando e così facendo oramai era lì lì per perdere tutta la sua base utenti, io pensai che magari questa cosa andava nel verso che mi sembrava di intuire, che se davvero stavano pensando quello che pensavo io, era meglio separare le due cose. In più, riconosciamole di aver avuto successo in questa trasformazione, che ci piaccia o meno, che ci crediamo o meno, oggi il 70% degli utenti di FB vi accede da smartphone e tablet. Nel 2013 era l’esatto opposto. Quindi FB-Messanger e WA nella mia testa erano 5 e 7 cento milioni di tasche. Dentro alle quali c’è una rete stellare di persone. L’azione è: tiri fuori il telefono e scrivi a una o molte persone. La seconda cosa più facile da fare al mondo è cliccare un bottone. La mia testa ha lavorato così: mobile, tasca, portafoglio, soldi, internet, Pay-Pal, David Marcus, servizi di messaggistica, messaggio transazione, Facebook mobile app, Messanger, Whatsapp. Avevo fatto il giro. Ho visto un mercato di persone che si mandano soldi con un click.

E questa è la parte in cui ho fatto un ragionamento usando i cliché, che sono un esercizio retorico che serve quando si pensa per blocchi di milioni.

Questa cosa, sì, forse, andrà ad intaccare il mercato di PayPal, ma forse no, cioè non come conseguenza diretta. Io Pay-Pal non lo uso. Anche perché io non trasferisco soldi, davvero. Io pago, che è un concetto un po’ diverso. E i pagamenti con PayPal e/o altre forme di pagamenti online, non credo avranno grandi problemi. Uso cioè PP per pagare non per trasferire soldi. Io ho immediatamente pensato ai money-transfer, cioè ai vari Western Union eccetera. Per quanto possa andare bene a questi colossi del mercato del “manda i soldi a casa”, possono competere con centinaia di milioni di utenti che avranno accesso ad una forma digitale di trasferimento di capitali intorno ai 50/100 dollari al mese e che è soprattutto installabile su un telefono da 80? E tutti hanno in tasca un telefono che può installare Facebook Messanger e Whatsapp, tutti. Soprattutto chi ha più bisogno di mandare a casa i soldi.

Allora, l’anno scorso, ho pensato, boh: forse questa diventa una nuova linea di ricavi per l’azienda che già guadagna tanto dalla pubblicità. Ma il mercato è davvero drogato, una volta se andavi così bene voleva dire che eri bello e solido e andavi bene, oggi se fai montagne di soldi per due anni di fila sempre nello stesso modo diventi noioso. Te pensa.

Buy the rumors, sell the news

Insomma, ho reinvestito per questo motivo, perché pensavo, nel giugno 2014, che quella mossa lì, quella di prendere il capo di PayPal e metterlo a capo dei servizi di messaggistica di Facebook fosse in realtà una cosa che aveva a che fare con i soldi, e lo spedire i soldi a qualcuno usando una strada già costruita per fare altro.

Ieri è uscita esattamente questa notizia, proprio così, come ve la sto dicendo io adesso:
«Facebook adds payments support to Messenger»

e poi questo commento:
«Facebook’s Money Transfer Service Could Hurt Western Union, MoneyGram, PayPal, And Xoom»

Io non lo so se a giugno/luglio di quest’anno, quando Facebook presenterà la seconda trimestrale, ci sarà già della ciccia; se già diranno “ehi, e poi c’è questa cosa dei 500 milioni di utenti al mese che si mandano 100 dollari, noi prendiamo lo 0,01% di commissioni, fanno 60 milioni all’anno. Se già passassimo allo 0,1% fanno 600; per mandare la stessa cifra dall’Italia con Western Union, già che l’abbiamo citata, le commissioni sono al 4,9%, se lo facessimo noi sono 29 miliardi e 400 milioni all’anno, ma non vorremmo esagerare: preferiamo massacrare la concorrenza portando le commissioni in un punto così basso che se provano ad adeguarsi gli scoppia in mano il modello di business e falliscono. Di fatto, preferiamo spaccare il mercato”.

Ora, io credo che andrà a finire così, ma magari no. Il punto è che questo è un buon momento per provarci e poi se ne riparla con pazienza a luglio.

Mi hanno insegnato che il mercato va così: buy the rumors, sell the news.

Articolo originariamente pubblicato sul profilo Facebook di Simone Tolomelli.Â