Leonardo Falanga ha costruito un braccio meccanico quando era solo un bambino: da allora si è appassionato alla robotica e non si è più fermato. E’ arrivato in finale alla scorsa edizione di Innovation Game con un’app che previene la violenza sulle donne. E’ uno degli speaker della Maker Faire Rome 2015 e in questo post spiega cosa significa per lui la filosofia maker
Credo di essere stato un maker sin da bambino, quando presi in mano per la prima volta un cacciavite e iniziai a smontare tutto per capirne il funzionamento. Volevo conoscere cosa fossero quelle schede di un color verde chiaro che ora chiamo PCB. Volevo capire come si potesse trasmettere senza fili e come tutto ciò poteva essere in qualche modo risorsa. Gli anni passano e mi avvicino ai libri stupendi di Nuova elettronica degli anni ’70, che nonno teneva in vecchi scatoloni e che spiegavano in modo perfetto cos’è il digitale, anzi, pardon…l’analogico! Mi appassiono a quella strana emozione che gli inventori provavano dopo aver scoperto un qualcosa di nuovo e lontani da ogni economia. Oggi purtroppo ogni volta che si inizia un progetto nella maggior parte dei casi si pensa al guadagno che ci si può ricavare, e se non c’è guadagno non c’è neanche creazione. Questa è la cosa che più mi rattrista. I grandi inventori analogici hanno favorito il digitale proprio perché non pensavano al guadagno ma al cambiamento che poteva generare un proprio progetto. Oggi è difficile iniziare un progetto proprio per questo motivo.
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Quella ragazza senza un braccio
Ho capito che volevo diventare un maker nel 2005, quando un giorno sulla spiaggia ho visto una ragazza senza braccio e il mio obiettivo è stato subito quello di fabbricarne uno. Avevo sei anni. Purtroppo le stampanti 3D non erano molto diffuse e accessibili come oggi e inoltre non avevo un fresa per poter lavorare. Non mi arresi, e dopo qualche anno sono riuscito a trovare un artigiano pronto a realizzare il telaio del mio braccio robotico. Io di mio ci misi tanto impegno, recuperando tutorial in inglese e sbagliando, tanto. Ma alla fine ci sono riuscito.
E’ così che mi sono avvicinato alla robotica, ovvero quel mondo fantastico che da lì in avanti sarebbe diventata la mia più grande passione.
Infatti oggi il mio obiettivo è quello di diventare un ingegnere robotico specializzato in intelligenza artificiale e biorobotica, perché vorrei aiutare tutti quelli che, come quella bambina, possono vivere meglio anche una situazione difficile come la disabilità.
Cosa fa un vero maker
Il vero maker è questo, qualcuno che crede fermamente in quello che fa, qualcuno che ha mille dee per la testa e cerca sempre di unirle! Un maker è colui che sa far brillare per un attimo gli occhi alle persone prese dallo stress o dalla sofferenza causata dalla malattia.
Un maker è qualcuno che sa rendere l’innovazione una cura, una passione e una speranza di cambiare davvero il modo di fare le cose.
Il maker non si adatta mai alle regole, a volte è folle, a volte sbaglia, ma ama quello che sta facendo al punto da provarci e riprovarci all’infinito. Il problema è che spesso il maker viene ignorato, e nel migliore dei casi è costretto ad emigrare in altri paesi per trovare supporto, nel peggiore addirittura a rinunciare ai propri progetti. Lo so, è ingiusto, ma per fortuna c’è anche chi insiste. E vince. Come Guglielmo Marconi, uno dei miei miti (ho fatto anche l’esame di elettronica e elettrotecnica al Ministero dello sviluppo economico). Pensate che nel cuore della notte svegliò la madre per farla assistere al suo esperimento: il primo segnale mandato nello spazio. Quel tentativo fallì, come molti altri. Ma lui non si arrese e riprovando, sbagliando ricominciando da capo, nell’estate del 1895 riuscì a creare il sistema Antenna-Terra: quel famoso “colpo di fucile” che segnava la nascita della radio e l’inizio dell’era delle telecomunicazioni.