Kareen Liu e Sehoon Ha, all’interno del College Georgia Tech, hanno sviluppato un algoritmo che insegna ai robot a cadere: «Servirà sia per evitare danni (costosi) che per salvaguardare le persone che stanno loro vicine».
Studiando la capacità dei gatti di atterrare – quasi sempre – in piedi, o meglio sulle quattro zampe, Karen Liu della School of Interactive Computing del Georgia Tech ha elaborato un algoritmo per aiutare a cadere con grazia anche i robot. Che, come ci ha insegnato l’esilarante (per noi ma non per i team) serie di cadute robotiche al Darpa Robotics Challenge, hanno un gran bisogno di imparare come si fa.
Specialmente in vista di un futuro in cui saranno una normale presenza in molte abitazioni, aiutando gli anziani – ben oltre quanto riesce a fare oggi il robot foca terapeutico PARO -, occupandosi dei bambini, intenti a schivare il cane o il gatto di casa mentre si spostano tra le stanze manipolando oggetti e salendo o scendendo le scale. È il futuro che attende il robot Walkman dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, anche lui caduto al DRC per un problema di affidabilità delle batterie.
All’International Conference on Intelligent Robots and Systems tenutasi da poco ad Amburgo, in Germania, Liu non solo ha presentato il suo algoritmo, ma ha spiegato che proprio in vista di un futuro simile (non così lontano, dicono dal Giappone) la questione “cadute” è tra le principali problematiche da risolvere.
Se un robot dovesse cadere il problema non sarebbe solo il danno riportato alla sua struttura (e la costosa riparazione), ma il mettere in pericolo gli esseri umani con i quali vive.
Ma se sapesse, prima di cadere, qual è la combinazione giusta per atterrare con delicatezza invece di rovinare a terra?
Cadere ma calcolando i movimenti da fare
Insieme a Sehoon Ha, oggi ricercatore al Disney Research Pittsburgh, Liu ha insegnato ai robot a “reagire” alle cadute (ad esempio quando inciampano o quando vengono spinti) imparando tramite l’algoritmo la miglior sequenza di movimenti che permette loro di rallentare. E arrivare a terra più delicatamente.
«Siamo convinti che i robot possano imparare a cadere in sicurezza. Il nostro lavoro ha messo insieme tutto quello che sapevamo sulle strategie di insegnamento fornendo loro uno strumento per contare in automatico il numero di contatti. Ad esempio quante mani li hanno spinti, l’ordine con cui si sono verificati questi movimenti, la tempistica e l’intervallo tra uno e l’altro. Tutti elementi che, insieme ad altri fattori, contribuiscono a modificare la risposta del robot alla caduta», spiega Ha.
Studiare l’angolazione di caduta
Dopo aver sperimentato l’algoritmo su un robot BioloidGP in numerose simulazioni, Ha e Lin hanno avuto conferma che è realmente utile per imparare a reagire a tutti i diversi tipi di caduta: quando il robot viene spinto, quando inciampa su un oggetto, quando non riesce a fare le scale e via dicendo.
L’elemento cruciale che Liu ha appreso dai suoi studi sui gatti, ora trasferiti alla robotica, è che il fattore determinante è l’angolazione con la quale si cade
«Un robot ben progettato ha la capacità di elaborare una caduta delicata, ma non ha ancora ottimizzato la sequenza di movimenti da fare quando questa si verifica. Non ha l’hardware adatto a muoversi veloce come fa un gatto, ma possiede il know how computazionale per imparare a cadere». Al resto, ci penserà l’algoritmo.