Ci sono software potentissimi a costo zero, eppure non sono ancora diffusi nelle scuole. Per fortuna ci sono casi in cui è forte la voglia di provare a cambiare le cose
Una storia d’amore che stenta a prendere forma, quella tra la scuola pubblica ed il software open source. I presupposti ci sarebbero tutti; i due sono proprio “anime gemelle“, verrebbe da dire. Entrambi indiscutibilmente votati alla diffusione della conoscenza. Eppure, si sa, l’amore è cieco; ma più che altro, in questo caso, l’unica a non vederci bene è proprio la scuola.
Basterebbero pochi dati per farle cambiare idea. Uno su tutti: la provincia di Bolzano nel 2009 ha deciso di abbandonare, dove possibile, il software a pagamento, ed ha fatto in modo che circa un’ottantina di scuole passassero al software libero. Le spese informatiche sono scese da 269.000€ a 27.000€, relativi alla sola manutenzione dell’hardware. Quasi dieci volte in meno! E stiamo parlando di una provincia: pensate ai costi sostenuti a livello regionale e nazionale. Cosa potremmo fare con le risorse liberate? Acquistare nuovo hardware, rinnovare i laboratori, investire in formazione, e moltissime altre cose.
Cos’è allora che trattiene la scuola italiana dall’abbracciare con convinzione il software libero? Principalmente la sua non conoscenza. Molti insegnanti hanno imparato ad usare il PC facendo corsi che prevedevano l’utilizzo di Windows XP o seguenti; hanno impiegato tempo e fatica nel padroneggiare decentemente Office e tutti i suoi componenti (Word, Excel, etc.). Ovviamente se li inviterete a provare qualcosa di nuovo la loro risposta sarà (quasi) sempre: “Ma io so usare questo, non voglio cambiare!”. Se solo dessero una chance ad OpenOffice oppure a LibreOffice, si renderebbero conto che il cambiamento è assolutamente indolore.
Forse il passaggio a veri e propri sistemi operativi open source , basati su Linux, prevede un minimo di competenza in più e lo studio delle funzioni di base, ma alla fine i benefici sono indubbiamente maggiori: costo zero; sistema aggiornato regolarmente; velocità anche su PC obsoleti; software pre-installato che risponde al 90% delle esigenze, anche degli utenti più abili. E parliamo di sistemi operativi che nascono per la scuola! Prendete ad esempio Edubuntu, o ancora meglio la perla italiana WiildOs, basata sempre su Linux e che promette di farvi dimenticare sia Windows, sia i software di gestione della Lavagna Interattiva Multimediale. Chiedete a chi l’ha installato: da Trento fino alla Puglia, chi l’ha provato non torna indietro.
Ma sono molteplici i software potentissimi che non costano un centesimo, e che permettono agli insegnanti di rinnovare ed innovare la didattica. Vym è ottimo per costruire bellissime mappe mentali; iTalc o ePoptes permettono ai docenti di controllare i desktop degli studenti in presenza di più computer; Geogebra è già molto utilizzato dai docenti che lavorano su figure geometriche, funzioni, vettori, etc.; LibreCAD crea disegni tecnici in due dimensioni; Calibre è una libreria elettronica che serve a catalogare eBook, PDF, e molti altri file. E potrei continuare ad elencare programmi ad uso scolastico per delle ore.
Paradossalmente quello che manca e che invoglierebbe gli insegnanti a provare software open source è proprio un elenco. Flavia Marzano, docente, presidente degli Stati Generali dell’Innovazione, ha più volte chiesto la creazione di un repository nazionale o un centro di competenza a cui rivolgersi nel caso in cui si voglia migrare verso il software libero, ma la politica sembra proprio non sentirci da quell’orecchio. Qualcosa in giro per la Rete si trova, però. Una risorsa che vi segnalo volentieri è l’Osservatorio Tecnologico per la Scuola, dell’Ufficio Scolastico Regionale della Liguria. Potete reperirvi indicazioni e racconti di esperienze fatte proprio grazie a questi software. Magari leggendo quello che già si sta facendo, verrà anche a voi la voglia di provare e forse sboccerà davvero l’amore tra la scuola e l’open source.