Tornano le nostre interviste agli Italiani dell’altro mondo con una puntata speciale. A confronto con il chairman di Mind The Bridge. «È difficile prevedere il punto di arrivo dell’intelligenza artificiale. Le regole servono, ma possono uccidere gli unicorni»
«Siamo all’inizio di una fase che non è iniziata nel 2023. L’AI non è una tecnologia, ma una rivoluzione industriale». L’anno appena iniziato sarà senz’altro ricco di notizie, di trend, di hype e di novità. Ma secondo Alberto Onetti, Presidente di Mind the Bridge e Professore di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria, non smetteremo di parlare di intelligenza artificiale. Dalla pubblicazione di ChatGPT (era il 30 novembre 2022) a oggi tutte le Big Tech si sono precipitate sul tema, cominciando a svelare le proprie carte (Google, ad esempio, con Gemini). Le previsioni non sono facili, anzi sono pericolose. Figurarsi quando di mezzo ci sono tecnologie protette da brevetti e segreti industriali. Ma è senz’altro utile ragionare con gli esperti, per comprendere meglio in che direzione si muove il mondo. Sarà l’anno delle elezioni in Europa e negli Stati Uniti, due eventi talmente grandi che in un modo o nell’altro avranno un impatto anche sul dibattito tecnologico.
Sentiremo parlare ancora molto di intelligenza artificiale?
Direi di sì, penso che il gioco sia appena partito. Scopriremo che forma assumerà. Siamo all’inizio di una fase che non è iniziata nel 2023, e che andrà avanti per i prossimi dieci anni. Rientra nella categoria delle cose esponenziali, di cui è difficile prevedere il punto di arrivo. Non riusciamo ancora a visualizzarlo, ma è un qualcosa che avrà un impatto secolare. È una rivoluzione industriale, così come lo è stata quella del 2000 col mobile. Non è solo una tecnologia. Il vero tema sarà che ruolo dare all’uomo.
In anni passati c’è stato grande interesse per il metaverso e per gli NFT. Ora è come se non interessassero più. Cosa ha l’AI di diverso rispetto a questi ex VIP della tecnologia?
Quelle citate non sono tecnologie scomparse. Hanno solo perso l’effetto glamour, ma le cose vanno avanti. Penso ad esempio alla blockchain, così come al metaverso. Si era accelerato pensando che fossero ambiti di applicazione immediati, ma dietro permangono value proposition solide. A fronte di tutto questo l’AI è trasversale e come tutte le grandi rivoluzioni non c’è una industry non sia coinvolta. È la auto generazione dell’AI che la rende potenzialmente il genio uscito dalla lampada. Le altre tecnologie dovevamo costruirle, questa si costruisce da sola, con tassi di apprendimento appunto esponenziali.
Sarà un anno ricco di notizie sulle startup. Ce ne sono alcune di cui pensi si parlerà in particolar modo?
Ne sto vedendo davvero tante. A San Francisco mi ha colpito un team coreano che riproduce gli anchor televisivi con l’AI. Erano indistinguibili da quelli reali. Non stiamo parlando di qualcosa che cambierà il mondo, ma il modo con cui si fanno le cose. Il risultato finale, e lo dico tutte le settimane ai miei studenti, è che si sta alzando tantissimo la barra delle mediocrità per quanto riguarda il futuro non lontano del mondo del lavoro. Se l’AI può condurre un telegiornale senza sbagliare e in maniera efficace bisogna che le persone che fanno quel mestiere alzino il proprio livello. E di tanto. E vale per tutti gli altri lavori.
A dicembre scorso con Mind The Bridge avete premiato le migliori corporate per progetti di Open Innovation. Quali sono i trend in corso?
Le grandi aziende si sono mosse da tempo. Si stanno iniziando a muovere le medie. L’open innovation non è più così cool e dire che lavori con le startup non sortisce lo stesso effetto di un tempo. Oggi c’è pressione da parte delle aziende sui budget e i Ceo chiedono risultati. Siamo nell’”age of results”, un’era complicata perché non è facile misurare l’impatto dell’Open Innovation. Ha un impatto sulla strategia e cultura aziendale, ma quando ci chiediamo come misurarla ci rendiamo conto che mancano indicatori. Si può forse misurare il tempo che il Ceo di una grande azienda ha trascorso con le startup, incontrandole. Se fai davvero innovazione i risultati li avrai tra cinque/otto anni. Il problema per le unità di Open Innovation è come sopravvivere nel frattempo. Ma si può vederla anche da un altro punto di vista. Cosa c’è in gioco? La sopravvivenza dell’azienda. Dunque, qual è l’alternativa? Nessuna. Se non innovi muori. L’Open Innovation rappresenta una sorta di polizza assicurativa sulla vita, ma le aziende fanno ancora fatica a vederla in questo modo.
Il 2024 sarà un anno importante per l’Europa. Non soltanto per le elezioni, ma perché Bruxelles continua il lavoro sull’AI Act. Che idea ti sei fatto?
L’Europa non vorrebbe fare soltanto da regolatore, ma aver un ruolo nello sviluppo della tecnologia. Abbiamo visto Mistral AI (nuovo unicorno francese, ndr) con una valutazione da due miliardi. Ma OpenAI sarebbe a 90 miliardi e le altre come Anthropic girano sui 25/30. Sul fatto che si debba regolare ne sono convinti anche in Silicon Valley. Nel nostro ultimo Scaleup Summit ad ottobre le principali aziende americane concordavano sulla necessità di regolare, fatto non scontato. Ma Gerard de Graaf (Senior Envoy for Digital to the U.S. e Head of the EU Office in Silicon Valley, ndr) ricordava che in meno di cinque anni è difficile avere una regulation europea sull’AI. Non mi attendo quindi qualcosa di immediatamente applicabile.
Il 2024 sarà anno di elezioni: prima Europa e poi Stati Uniti. L’ecosistema startup come dovrebbe vivere questi appuntamenti?
Le aziende non vivono certo nell’etere. Alcune direzioni politiche contribuiscono a definire l’ecosistema. Oggi ci sono molti settori dove la regulation può uccidere l’unicorno: il settore della micromobility è in mano ai governi locali, per esempio. La Silicon Valley è un’isola che si autoregola e negozia col potere; Israele fa vita a sé; la Cina è isolata. Dal risultato delle elezioni americane dipenderà l’attenuazione o l’amplificazione del grado di globalizzazione e le relative tensioni geopolitiche. Di tutto questo il tech non è immune.
La star dell’ecosistema startup che avete premiato lo scorso anno è Mariya Gabriel, Ministro degli Affari Esteri della Bulgaria e ex Commissaria Europea all’innovazione. Segno che la politica può fare molto
La politica può fare tantissimo. Da Commissario europeo, Gabriel ha messo l’innovazione e le startup sull’agenda della Unione Europea. Se devo appuntare qualcosa all’Italia è la mancanza di una politica industriale, da 20 anni. Abbiamo cercato di mantenere in vita quello che avevamo. Gli USA sotto Obama hanno venduto Chrysler per sostenere aziende come Tesla. Quella si chiama lungimiranza politica. La Francia di Macron non ha smontato il lavoro fatto da Hollande. E la Germania oggi certe partite prova ad affrontarle.