Le parole sono importanti, specialmente quando si parla di temi delicati come il cibo e la produzione di alimenti indispensabili come la carne. In questo caso non parleremo di carne sintetica ma di carne coltivata o allevata. La citazione morettiana inerente all’appropriatezza delle parole è necessaria per evitare la polarizzazione della discussione e limitare la disinformazione, soprattutto in seguito alla recente legge che vieta la produzione e commercializzazione della carne coltivata in Italia. Un settore in fortissima crescita nel mondo con 180 startup attive e oltre 2 miliardi e mezzo di dollari raccolti.
Bruno Cell è l’unica startup italiana focalizzata nella ricerca sulla carne coltivata. Un nome evocativo e un omaggio a Giordano Bruno che mise in discussione il pensiero dell’epoca promuovendo idee come l’infinitezza dell’universo e il pluralismo cosmico. Abbiamo fatto il punto sulla ricerca scientifica, sulle conseguenze della legge approvata dal Parlamento e delle reali possibilità di trovare nei supermercati carni coltivate in laboratorio, con Stefano Lattanzi, Founder di Bruno Cell.
Prima però, trattando un tema assai complicato, è bene precisare cosa si intende per carne coltivate e cosa prevede la legge approvata dal Parlamento a novembre scorso.
La ricetta della carne coltivata
La ricetta per la carne coltivata prevede il prelievo di cellule staminali da un campione animale, tramite una biopsia o un prelievo di sangue, coltivate in una soluzione contenente nutrienti in grado di farle moltiplicare. Queste cellule vengono stimolate a differenziarsi in muscolo o grasso. Il processo avviene all’interno di un bioreattore, cioè un apparecchio che riproduce le condizioni ottimali di crescita, in termini di temperatura, aerazione e flusso di nutrienti, replicando quelle fisiologicamente presenti nel corpo degli animali. Non si crea quindi nulla di artificiale o sintetico, ma si parte da linee cellulari già esistenti prelevate da animali vivi.
La legge che vieta la produzione e commercializzazione
L’Italia ha recentemente promulgato una legge che vieta la produzione e la commercializzazione (ma non l’attività di ricerca) di quella che viene comunemente definita carne sintetica che qui chiameremo carne coltivata, appunto, poiché definisce più precisamente la derivazione da cellule staminali animali.
La normativa è stata ufficialmente notificata alla Commissione Ue, ma è arrivato un provvisorio stop: la Commissione ha infatti comunicato all’Italia che il disegno di legge «è stato adottato prima della fine del periodo di sospensione» previsto da una direttiva europea del 2015. Ossia il governo italiano ha notificato il provvedimento a Bruxelles solo dopo la sua approvazione, violando i princìpi ribaditi in più occasioni dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Al momento tuttavia non è arrivata all’Italia nessuna procedura d’infrazione né richiesta di abrogare il ddl.
Lattanzi, di cosa si occupa Bruno Cell?
Di ricerca e valorizzazione della proprietà intellettuale. Siamo impegnati nello studio di linee cellulari inerenti la coltivazione delle carni, che una volta approvate e brevettate potranno essere vendute alle aziende che si occuperanno della produzione e commercializzazione.
La recente legge approvata dal Parlamento compromette le vostre attività?
Le nostre attività di ricerca possono proseguire, così le attività di collaborazione nelle università e nelle aziende. La legge si limita a vietare la produzione e commercializzazione della carne coltivata, sebbene al momento si tratti di obiettivi lontanissimi, ammesso che ci si riesca. Tuttavia, dopo la promulgazione della legge stiamo osservando una frenata da parte di potenziali investitori, che al momento preferiscono un approccio prudenziale.
Lei dice “ammesso che ci si riesca”. Qual è attualmente lo stato della ricerca?
Al netto degli annunci e della retorica fuorviante, la verità è che nonostante nel mondo vi siano numerose startup impegnate nella ricerca sulle linee cellulari della carne coltivata, c’è ancora tantissimo lavoro da fare e l’esito è molto incerto. Stiamo parlando di studi in ambiti molto complessi. Attualmente assegnerei un TRL (Technology Readiness Level) di 4 punti su 9 disponibili. Non è affatto scontato che arriveremo a un risultato soddisfacente, ottenendo prodotti commercializzabili su larga scala. Si tratta di una tecnologia agli albori.
Stefano Lattanzi, Founder di Bruno Cell
E allora perché investire nella carne coltivata?
Per tante buone ragioni: se dovessimo riuscirci, ottenendo tutte le approvazioni di sicurezza dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, avremmo enormi vantaggi sotto tanti punti di vista. Potremmo produrre proteine ad alto valore biologico, con le proporzioni di grassi ottimizzate per la salute umana, eliminando le esternalità dannose che caratterizzano l’attuale ciclo di produzione delle carni. Ridurremmo la necessità di macellare gli animali e avremo notevoli vantaggi sull’impatto ambientale in termini di emissioni di gas serra, utilizzo del suolo e dell’acqua. L’attuale sistema di produzione della carne basato prevalentemente su pratiche intensive, provoca sofferenza agli animali e spesso resistenza agli antibiotici. Inoltre, c’è grande interesse per l’utilizzo della carne coltivata nel settore aerospace per le missioni nello spazio.
Brunocell di cosa si occupa nell’ambito delle carni coltivate?
Siamo nati nel 2019 dopo essere stati incubati nell’Hub Innovazione Trentino, collaborando con l’Università di Trento. Ci occupiamo dello studio della differenziazione delle cellule staminali in muscoli e grassi, attraverso shock termico, senza stimoli chimici. Abbiamo inoltrato domanda di brevettazione per l’Italia e per l’estero e siamo fiduciosi che a breve arriverà la validazione. Recentemente abbiamo vinto il bando “Farm to Fork” per sviluppare carne coltivata a livello europeo. Un risultato del quale siamo molto orgogliosi al quale ci dedicheremo nel 2024, oltre ad allestire un portafoglio brevettuale e commercializzare linee cellulari all’estero.
Che idea si è fatto della legge promulgata dal Parlamento?
In fase di discussione eravamo molto preoccupati; inizialmente eravamo anche stati inclusi tra i possibili invitati alle audizioni, anche se poi non siamo stati convocati, limitandoci a esporre le nostre posizione inviando un vademecum con dieci punti. Poi la legge ha vietato la commercializzazione, fortunatamente non intervenendo sulle attività di ricerca. Purtroppo, la discussione si è fortemente polarizzata, utilizzando un argomento complesso in modo strumentale per schierarsi con o contro il Governo. La discussione è stata avvelenata da troppa disinformazione e pregiudizi. Molte polemiche e poca voglia di capire.
Non pensa che tutto parta da un nome sbagliato, parlando di carne sintetica?
Certamente. Non è carne sintetica e per approcciare correttamente al problema è fondamentale capirlo. Il termine carne sintetica non è corretto dal punto di vista scientifico perché non ci sono processi di sintesi. Ha una connotazione negativa che potrebbe favorire un pregiudizio all’orientamento dei consumatori e dei decisori. Negli ultimi tempi a livello internazionale si è imposto il termine carne coltivata che è quello corretto.