Le lampade di Sciàtu nascono dalle carcasse delle pale di fico d’india. Uno scarto della natura ritrova la vita grazie al “respiro” e alla filosofia, davvero universale, di un maker siciliano innamorato della sua terra.
«Sciàtu in siciliano significa fiato, respiro. A Gela, ma anche in tutta l’isola, si usa dire alle persone a cui tieni e a cui vuoi veramente bene “sciatu mio”. Un’espressione che significa sei il mio fiato, sei il mio respiro». Da qui nasce il progetto di una lampada tutta naturale, ideata dal designer gelese Renato Belluccia, e costruita attraverso il recupero delle pale morte di fico d’india: «Non è solo un oggetto che ha una sua bellezza esteriore. Dietro, e dentro, c’è una filosofia che mi guida e in cui riverso tutte le mie energie. Io dono un secondo respiro alla carcasse delle piante, le allungo la vita dando loro un vestito nuovo e un’anima luminosa».
La pianta
Il progetto di Renato (classe 1991) è iniziato dodici mesi fa: «Era pasquetta e mentre giravo per le campagne di Gela, in una zona chiamata “Piano del Signore”, ho raccolto da terra un pezzo di fibra di un fico d’India. Così l’ho portata a Torino, di ritorno dalle vacanze, dove stavo completando il triennio allo IED. Nei giorni successivi ho continuato a guardarla chiedendomi: È bella per buttarla via. Ma cosa posso farci?». E sono tante le forme e i possibili utilizzi che si sono succeduti davanti ai suoi occhi: «Alla fine ho scelto la lampada perché mi sembrava fosse l’oggetto che potesse esprimere meglio il significato vero di quello che volevo fare».
In giro per le campagne siciliane, soprattutto ad agosto e settembre, si trovano tantissime carcasse di queste piante. Tutte sparse per le “trazzere”, le vie che attraversano i campi: «Sono piante considerate infestanti. Vengono spesso spostate perché graffiano e ostacolano il passaggio ai mezzi». Per cui è un materiale di scarto, abbondante e onnipresente. Ce ne sono intere distese: «È un rifiuto della natura, una vita che ha completato il suo ciclo. Ma io con un soffio le darò una seconda possibilità».
Come nasce Sciàtu
Renato percorre le campagne cercando le carcasse più adatte, le raccoglie, le pulisce e leva loro la pelle. Poi identifica dove fare il taglio più adatto per costituire la lampada: «Non devo mai sbagliare il punto dove effettuare il taglio. La natura è armonia, io devo rispettarla e seguirla per ottenere il massimo risultato possibile». Tutto questo viene fatto all’interno del garage della sua casa, adattato per le esigenze. In questo Renato ha dimostrato di essere un vero maker: «Ho riparato macchinari di vent’anni fa che utilizzava mio padre. Vecchissimi Black & Decker e alcune seghe a disco. Ho anche adattato un motore per ovviare la mancanza di una sega a nastro» Per questo insieme a #ShipLab, l’associazione che vuole diventare acceleratore di idee e startup a Gela, sta per lanciare una campagna crowdfunding: «Vorrei un laboratorio dove poter lavorare con più velocità ed efficacia. Pensa che, ogni singolo pezzo, ha bisogno di due settimane di lavoro intenso e continuo». Una campagna che potrà essere seguita dal sito di Sciatu, realizzato da un’altra giovane realtà siciliana: SB engine ICT consulting: «Registratevi alla newslwtter così sarete informati della partenza della campagna e potrete conoscere i luoghi e le mostre che girerò con la mia lampada».
E ogni pezzo è davvero unico: «Ogni lampada avrà un codice da inserire sul sito di Sciàtu. In questo modo chi l’acquista potrà conoscere il luogo preciso della Sicilia dove è stata ritrovata la pianta e com’era fatta originariamente, quante lampade sono state tratte da essa e quante ore di lavoro sono state impiegate per farla».
La pulitura e la colorazione
La pulitura è molto complessa: «Devo eliminare tutti i detriti, le parti secche e annerite. È fondamentale però capire cosa si sta togliendo e cosa si sta lasciando all’interno della pianta. Ci vuole cura e rispetto per la sua anima. Di questo sono convinto». Senza, peraltro, spezzarla: «Nonostante la fibra sia dura il rischio c’è e non deve essere sottovalutato. La prima settimana viene impiegata per questi atti di pulizia e per preparare ogni singolo pezzo per la colorazione prima e per l’indurimento poi. Del resto ogni forma è diversa, ogni singola lampada è unica per dimensione, caratteristiche e sfumature». L’occhio della persona, dunque, è fondamentale.Almeno quanto le sue mani.
Un’esperienza che diventa ancora più fondamentale per la colorazione: «Insieme all’istinto. Ovviamente il mio è un background scolastico che mi ha portato ad avere delle basi importanti fin dalla scuola superiore». Davanti alla mia faccia stupita Renato precisa: «Ho frequentato a Comiso uno degli istituti più antichi della Sicilia. Dedicato a Salvatore Fiume. Ha 130 anni di storia e al suo interno, ancora oggi, s’insegnano materie come arte muraria, ebanisteria e altre discipline manuali di questo tipo».
Questo, insieme agli studi di design, ha avuto un ruolo fondamentale affinché Renato decidesse di procedere in una maniera molto originale: «Ora ho il pezzo che mi soddisfa dal punto di vista della forma e della pulizia. Sono perciò pronto a dargli una seconda anima. Così preparo delle miscele naturali e applico la filosofia che mi sono ripromesso di seguire sempre: la pianta assorbe per capillarità il colore così io le do solamente la possibilità di tornare a fare quello che già sa fare. Lei acquista pian piano il colore e decide autonomamente quali sfumature prendere, di quali tinte vestirsi. Io mi limito a darle un limite di tempo nel quale completare l’operazione. Il colore cammina, s’intreccia e s’innesta. Ed è bellissimo vedere cosa esce fuori».
La componente tecnologica
A questo punto entra in scena un’azienda catanese, Homatron, che aiuta Renato a installare la componente tecnologica di sciàtu. Quel soffio vitale che sta alla base di ogni lampada: «Non volevo una componente tecnologica da aggiungere senza un vero motivo. Volevo che anche la parte d’innovazione sposasse in pieno questa filosofia, che fosse armonizzata con tutto il progetto, la cura, il lavoro fatto. E con Homatron abbiamo trovato la soluzione perfetta: restituire la vita alla pianta con un respiro, con un soffio». Il prototipo funziona proprio così. Basta donare il proprio fiato a Sciàtu perché prenda vita e dia luce all’ambiente circostante. E allo stesso modo si spegne. Accanto è prevista anche l’accensione e lo spegnimento tramite touch, con accanto un sistema di regolazione dell’intensità della luce (si spegne autonomamente se non rileva nessuno nella stanza): «Ma non è finita qui. Su richiesta può essere inserito anche un altro sistema per cui, se il cliente vive in una casa domotica, può tranquillamente collegarla e farla diventare smart»
E se ti sei stufato di Sciàtu?
«La puoi staccare dalla base, separarla dal materiale elettronico e rigettarla via. Ogni suo componente è naturale. Le hai concesso una seconda vita donandole l’occasione di essere utile. Una volta che anche questo compito è esaurito non resta che restituirla definitivamente alla terra. Come un altro ciclo che si compie».
Ma ancora più a fondo c’è un’altra grande motivazione che guida Renato: l’amore sconfinato per la sua terra. «Sono venuto a Torino per studiare e completare la mia formazione. Ma il desiderio è sempre quello di tornare giù, a casa, per dare il mio contributo e far crescere un territorio che può risollevarsi solo grazie a noi giovani». La ricetta, del resto, è quella giusta: recuperare la secolare tradizione siciliana del “saper fare”, unire la propria indole talentuosa puntando sull’innovazione e sulle nuove tecnologie. Un “respiro” a lungo termine che, attraverso forme e modi diversi, potrà ridare vita a tutto il meridione e regalare un futuro ai giovani che hanno deciso di ritornarvi. Come Renato.