RedCrow è una società di Ramallah tiene d’occhio tutte le piccole o grandi emergenze che si verificano ogni giorno in Palestina. Abbiamo intervistato il founder
Il vero imprenditore è qualcuno che trasforma un problema in un’opportunità di business. È una frase che ricorre spesso, fra chi si occupa di innovazione e startup. Ed è tanto più vera quando le difficoltà di cui si parla non sono i cosiddetti “first world problems”, tipo trovare il ristorante cinese più figo in cui mangiare la sera, ma sono cose un po’ più serie, come per esempio barcamenarsi fra posti di blocco, attentati, disagi vari.
Circostanze comuni nella vita quotidiani di chi vive nei territori palestinesi, e a cui RedCrow, una startup cresciuta a Ramallah cerca appunto di dare soluzione. “Tutto è cominciato – spiega a StartupItalia! il co-fondatore Hussein Nasser-Eddin – quando io e l’altra fondatrice, Laila Akel, abbiamo iniziato a pensare a qualcosa che unisse la mia esperienza accademica (Hussein ha due Master, uno in Politica del Medio Oriente, e uno in Sicurezza Nazionale n.d.r.) con la sua competenza nei social media e nel marketing online”.
Ed ecco l’idea: creare una società che monitorasse tutte le piccole o grandi emergenze che si verificano ogni giorno in Palestina e stilasse dei rapporti, da mettere a disposizione di chi – membri di Ong, giornalisti, manager di aziende – si trovasse a doversi muovere nelle aree a rischio. Dove andare, quali zone evitare, a cosa fare attenzione.
Sulla carta, suona bene, ma come sempre, un conto è avere una bella idea, un’altra metterla in pratica. Nel caso di RedCrow, però, finora le cose sono andate abbastanza velocemente. “Nel settembre 2014 – spiega Hussein – abbiamo deciso di fare domanda per un investimento seed, e lo abbiamo ottenuto tramite FastForward, un acceleratore di Ramallah”.
Mappare tutte le emergenze nei territori palestinesi
Il programma di accelerazione è durato tre mesi e piano piano quello che era solo un embrione di impresa ha preso forma. I due fondatori hanno abbandonato il piano originale, che prevedeva una forte componente umana nella redazione dei report, e hanno cercato di automatizzare il più possibile il tutto. Tutto quello che è possibile trovare online – o che è comunque in qualche modo condiviso pubblicamente – dai post sui social media, agli articoli di giornale, gli approfondimenti dei think tank, i feed e le newsletter delle Nazioni Unite – tutto, viene tenuto d’occhio dal software di RedCrow e aggregato per rilevanza e attendibilità.
E qui si pone un primo problema: come setacciare la miniera di informazioni e portare a galla solo le cose realmente utili, evitando le bufale e i fake? “Il sistema che adoperiamo – dice Nasser-Eddin – è molto simile a quello che si adotta quando di tratta di verificare informazioni ottenute di persona”. Quando appare una qualche notizia, si guarda per esempio a quali e quante altre fonti l’hanno condivisa.
Si osserva inoltre il momento di pubblicazione e alla gelocalizzazione delle news: se lo stesso fatto viene riportato da più fonti situate nella stessa zona e allo stesso arco temporale, in teoria dovrebbe essere attendibile. Ad ogni fonte viene poi assegnato un “peso” diverso a seconda della sua origine: un report di un think tank può avere maggiore autorevolezza di un trafiletto di giornale, che a sua volta può essere considerato più valido di un post di dubbia provenienza sui social media.
Un tipo di algoritmo di questo genere – se attendibile, e quello di RedCrow pare che lo sia, dato che la startup ha già siglato contratti con diverse Ong che operano sul territorio – farebbe comodo anche di fuori dello specifico contesto mediorientale. Possibili acquirenti potrebbe essere per esempio i gruppi editoriali che devono trovare materiale utilizzabili nella valanga di User Generated Content (Ugc) che si rovescia ogni giorno su Internet; basterebbe tarare l’algoritmo in modo da fargli riconoscere certe parole chiave piuttosto che altre, e aggiornare l’elenco delle fonti da cui attingere.
Un algoritmo che raccoglie tutte le news in tempo reale
Oppure, restando in ambito delle aree di crisi, la startup di Ramallah potrebbe provare a varcare i confini palestinesi, e vendere il proprio prodotto anche in altre zone “calde”: per agli operatori umanitari o ai diplomatici presenti in Siria o in Libia.
Per il momento, comunque, a RedCrow preferiscono volare basso e crescere a livello locale, “all’interno del nostro piccolo conflitto domestico”, come mi dice con una risatina ironica Hussein, quando parliamo su Skype. È la fase in cui la startup deve affilare il software e raffinare il modello di business, che per ora si basa essenzialmente sulla vendita dei report. Nel frattempo, si cerca un finanziamento esterno di dimensioni sufficienti a consentire l’espansione nell’intera area Mena (Medio Oriente e Nord Africa). “Qualcuno si è già fatto avanti, ma cerchiamo un partner che abbia il nostro stesso tipo di visione – dice”.
Funzionerà? A RedCrow pensano di sì. Intanto, con gli articoli sui media internazionali incuriositi dal loro modus operandi hanno già raggiunto in parte un primo obiettivo: far parlare non solo di sé, ma anche di un conflitto un tempo sempre sulle prime pagine e che oggi viene ormai quasi dato per scontato.