Le novità sono conseguenza del nuovo regolamento europeo Digital Markets Act. Secondo Cupertino, valgono solo su iPhone e solo nel Vecchio Continente. Ma non è ancora scritta la parola fine per questa vicenda
Nelle prossime settimane ci saranno cambiamenti significativi sul vostro iPhone se vivete in Europa: con l’uscita di iOS 17.4 Apple cambierà in modo importante come funziona il sistema operativo che equipaggia i suoi smartphone, così come ci saranno novità importanti per gli sviluppatori. In particolare si parla dell’introduzione del cosiddetto “side-loading”, ovvero la possibilità fin qui inedita di caricare app da fonti diverse dall’App Store: una novità che è conseguenza dell’entrata in vigore il prossimo marzo del Digital Markets Act, nuovo regolamento europeo che cambia le carte in tavola soprattutto per il business delle grandi aziende statunitensi che operano qui nel Vecchio Continente. E che avrà un impatto diretto sui consumatori così come sugli sviluppatori, grandi e piccoli.
I cambiamenti di iOS 17.4
Alla fine della scorsa settimana, in concomitanza col rilascio della beta per gli sviluppatori di iOS 17.4, Apple ha chiarito cosa cambierà in questa release del sistema operativo: di fatto ci sarà la possibilità, ma solo per gli utenti che hanno impostato come nazione di residenza una di quelle facenti parte dell’Unione Europea, di installare app sul proprio smartphone attingendo a “marketplace alternativi”. Ovvero, sulla falsariga di quanto già accade su Android, ci saranno delle fonti diverse da App store per cercare e installare software aggiuntivo sul proprio telefono: pensate a quanto fa da anni (non con enorme successo, va detto) Amazon con il suo Appstore, un’alternativa al più classico Play Store di Google che si può scaricare e usare per installare app sullo smartphone.
Affinché questi marketplace alternativi funzionino e siano disponibili su iOS, tuttavia, Apple ha già chiarito che ci dovrà essere il suo placet: dovranno passare attraverso una trafila simile a quella di approvazione delle singole app su AppStore, e lo stesso dovrà avvenire secondo la logica di Cupertino per tutte le app che transiteranno su questi marketplace e che saranno “autenticate” da Apple (il termine usato è notarization, che corrisponde appunto a una sorta di autenticazione) prima di poter essere distribuite. Le ragioni addotte per questo doppio passaggio, da Apple e poi su marketplace altrui, sono legate secondo la Mela alla necessità di garantire sicurezza e interoperabilità alla propria piattaforma. In nessun caso sarà possibile scaricare l’app dal web e caricarla direttamente sul proprio iPhone.
Accanto a questo c’è anche un altro cambiamento epocale, e in questo caso riguardo il browser per navigare il web. Non sarà più soltanto Safari con il suo WebKit lo strumento unico attraverso cui aprire siti e servizi, ma ci sarà addirittura una schermata che presenterà delle alternative per la scelta del software di default da utilizzare e ci sarà per gli sviluppatori anche l’opportunità di far girare il proprio motore a bordo di un iPhone. Una novità non da poco, con tutti i suoi pregi e difetti, ma che apre a una maggiore flessibilità per quanto attiene l’uso del proprio smartphone: esattamente come accadrà, questa l’ultima grande novità, per i pagamenti che non dovranno più transitare obbligatoriamente attraverso la piattaforma Apple.
Tutti questi cambiamenti riguarderanno unicamente iPhone: iPad per ora resta fuori da queste novità, per via di come il Digital Markets Act viene interpretato e del diverso ruolo che tale dispositivo ha sul mercato e nella vita dei consumatori.
Le conseguenze per gli utenti e gli sviluppatori
Chi possiede un iPhone, nel momento in cui iOS 17.4 sarà rilasciato nelle prossime settimane (probabilmente alla fine di febbraio o nei primi giorni di marzo), non vedrà immediatamente cambiare tutto nel proprio cellulare. Alla prima esecuzione di Safari, o già durante il riavvio dopo l’installazione dell’aggiornamento probabilmente, si vedrà presentata la richiesta per confermare quale browser utilizzare di default: ma, a parte questo, non ci saranno evidenti cambiamenti.
Diverso il discorso per gli sviluppatori: per loro si apre una nuova fase, che li vedrà innanzi tutto misurarsi con l’esigenza di decidere su quale marketplace rendere disponibile la propria app (o anche più d’uno), e in secondo luogo anche decidere come monetizzare eventuali acquisti in-app di servizi o abbonamenti. I cambiamenti si rifletteranno sullo sviluppo e su come le app saranno presentate nell’AppStore, con indicazioni precise su queste scelte che dovranno anche essere indicate nel manifesto dell’app stessa.
Apple ha deciso di interpretare il regolamento europeo mettendo a disposizione degli sviluppatori delle nuove API (Application Programming Interface) che forniranno accesso a nuove funzioni del sistema operativo: in pratica i nuovi marketplace dovrebbero funzionare in un certo senso come una propaggine di quello centrale App Store più che come strutture totalmente indipendenti (o almeno questo il senso che pare di carpire dalle informazioni fornite nell’annuncio), affinché Apple riesca a mantenere una sorta di controllo end-to-end (quindi completo) sulla piattaforma, allo scopo di preservare il proprio approccio di “walled garden” che fin qui ha premiato iOS con una scarsa permeabilità a malware e app truffaldine.
Come fatto notare da Mozilla, tuttavia, questo impone un nuovo livello di complessità per gli sviluppatori: la decisione Apple di applicare tali nuove regole solo all’interno dell’Unione Europea potrebbe costringere a sviluppare più versioni della stessa app per diversi mercati, o vedersi costretti a rinunciare ad alcuni di essi per non dover portare avanti due diversi branch dello stesso prodotto che – come nel caso di Firefox – funzionerebbero in modo diverso nel Vecchio Continente rispetto agli USA e il resto del mondo (nel primo caso ci sarebbe il motore Gecko sviluppato da Mozilla a bordo dello smartphone, mentre oltreoceano Firefox dovrebbe ripiegare su WebKit).
Quella di Mozilla, tuttavia, non è l’unica voce critica che si è alzata nelle scorse ore: va segnalato come, tuttavia, la posizione di altri sviluppatori come Opera sia invece più ottimista rispetto a queste novità.
La delusione di Spotify ed Epic: il fronte critico
Tra i più critici del nuovo approccio di Apple c’è Spotify, che da molti anni ha sollevato proprio in sede europea alcune critiche alla condotta di Cupertino in relazione alla gestione del marketplace a bordo di iOS. Questa volta, tuttavia, il CEO e founder Daniel Ek ci è andato giù davvero pesante sul blog ufficiale di Spotify: “Apple ha mostrato al mondo che non crede che le regole si applichino a loro (…) Se si sono comportati male per anni, questo porta l’arroganza a un nuovo livello. Dietro il falso pretesto di conformità e concessioni, hanno presentato un nuovo piano che è una farsa completa e totale. In sostanza, la vecchia tassa è stata resa inaccettabile dal DMA, quindi ne hanno creata una nuova mascherata come conforme alla legge”.
Ciò a cui si riferisce Ek è il nuovo sistema varato da Apple per la gestione dei pagamenti e delle commissioni per le compravendite a mezzo smartphone: non si tratta di una nuova regola che vale automaticamente per tutti, gli sviluppatori potranno decidere di restare nel “vecchio” regime (con il 30 per cento di commissione, che cala al 15 se si appartiene al programma Small Business – anche le commissioni sugli abbonamenti sono il 15 per cento dal secondo anno). Se si opta per il nuovo contratto, le condizioni dovrebbero essere migliori: la commissione Apple calerà dal 30 al 17 per cento per le transazioni sui servizi, al 10 per le app e gli abbonamenti dopo il primo anno.
A questo bisogna sommare la nuova “Core Technology Fee”: si pagheranno 50 cent per ogni installazione o aggiornamento oltre 1 milione (parliamo di download, non di fatturato), su base annua e ricorrente (ma per utente: se avrete la stessa app installata su più dispositivi, il vostro account conterà come singolo e non si sommeranno tra loro). Poi ci sono le commissioni aggiuntive (3 per cento) in caso si opti per Apple Pay come sistema di pagamento. Nel complesso, pare proprio che Apple abbia studiato una soluzione che si infili correttamente nelle pieghe della norma ma che, nei fatti, non cambi lo status quo: soprattutto, la convenienza maggiore sarà per chi resterà in esclusiva su App Store generando grandi volumi di vendita e download.
Gli sviluppatori dovranno necessariamente passare alle nuove condizioni per poter distribuire attraverso marketplace alternativi e usare strumenti di pagamento alternativi. In quest’ultimo caso potrebbe anche cambiare qualcosa per le app gratuite (proprio come Spotify): se decidessero di sfruttare le nuove condizioni per usufruire degli strumenti di pagamento esterni e monetizzare direttamente in app, potrebbero essere costrette a pagare la Core Technology Fee per la presenza a bordo degli smartphone degli utenti. In alternativa, Apple fa sapere che potranno restare alle vecchie condizioni senza dover versare alcuna commissione: come sempre fatto in passato, ci si potrà abbonare a Spotify sul sito del servizio (così come i libri Kindle si acquistano sul sito Amazon, non nell’app Kindle). Ricordiamo comunque che queste regole valgono esclusivamente in Europa: abbiamo comunque fatto un po’ di esempi nel paragrafo successivo.
Comprendere se questa soluzione trovata da Apple sia efficace è piuttosto complesso: ci sono voci critiche che si sono alzate per contestare questo approccio, che nei fatti potrebbe rendere poco conveniente cercare di uscire dal giardino di Cupertino per cercare altre strade. C’è chi ha fatto un po’ di conti, stabilendo che le nuove regole potrebbero anzi essere un’arma a doppio taglio per chi sviluppa e rilascia app di successo: Nikita Bier su Twitter arriva a sostenere che “non lancerò mai un app in Europa”, adducendo come motivazione l’enorme commissione che 10 milioni di installazioni potrebbero generare mensilmente per la sua azienda. Senza contare, aggiunge, che sotto una determinata soglia di guadagno per utente (da lui calcolata in 0,57 dollari) si potrebbe generare un valore negativo che risulterebbe in denaro che gli sviluppatori dovrebbero ad Apple.
Secondo le stime di Apple, tale circostanza (superare il milione di installazioni e di conseguenza l’attivazione di queste clausole relative alla Core Technology Fee) non si dovrebbe verificare per il 99 per cento degli sviluppatori: ma, di conseguenza, ciò vorrebbe anche dire che possibili casi di straordinario successo sarebbero meno probabili di un tempo o addirittura poco consigliabili. Inutile aggiungere che tra i più critici del nuovo approccio c’è Tim Sweeney, CEO di Epic (che con Apple ha dei trascorsi), che su Twitter parla senza mezzi termini di “subdolo esempio di conformità dannosa” e di “spazzatura” (hot garbage) rispetto all’annuncio fatto da Apple.
Qualche esempio delle nuove tariffe
Facciamo qualche esempio, sfruttando lo strumento messo a disposizione da Apple agli sviluppatori. Ipotizziamo di avere una app che costa 1 dollaro e che viene scaricata da 1,5 milioni di utenti: lo sviluppatore fatturerà 1,5 milioni di dollari e con le vecchie regole dovrebbe a Apple 37.500 dollari al mese, o in misura ridotta 18,750 dollari se facente parte del programma Small Business. Se i download si fermassero a 999.999 (mettiamo qui questo esempio solo per coerenza con la trattazione successiva), quindi sotto la fatidica soglia di 1 milione sui 12 mesi, la cifra passerebbe a 25.000 dollari su base mensile (12.500 per i piccoli sviluppatori).
Con le nuove regole, il quadro cambia così: 47.645 dollari al mese se si paga tramite il circuito Apple (38.895 per i piccoli sviluppatori), 43.985 se si paga con circuiti alternativi (35.145 per i piccoli sviluppatori). Se ci si ferma a 999.999 download, ecco come cambiano le cifre: 16.667 dollari al mese (10.833 per i piccoli sviluppatori) se si paga tramite circuito Apple, 14.167 pagando tramite canali alternativi (8.333 per Small Business). Da ricordare che quasi certamente ci sarà una commissione del circuito alternativo, ma la differenza rispetto al superamento del milione di download è evidente: la soluzione migliore se si è piccoli è stare dentro il mondo Apple per vendita e pagamenti, con le nuove regole. Se si è sviluppatori di successo, invece, conviene restare nel vecchio regime e concedere l’esclusiva ad Apple.
Se invece si decide di andare esclusivamente su marketplace alternativi e sfruttare circuiti di pagamento alternativi, la quota mensile da versare ad Apple sarà di 22.645 dollari. Parliamo di oltre 270mila dollari l’anno, ricordiamo a fronte di 1,5 milioni di dollari di fatturato, a cui aggiungere i costi che altre piattaforme potrebbero esigere per la presenza nello store e per i pagamenti. In questo caso, comunque, se ci si ferma a 999.999 download si pagherà zero ad Apple.
Per gli ottimisti, deciderà l’Europa
La polemica sulle condizioni e le regole decise da Apple, per cercare di accogliere le istanze del Digital Markets Act, non è destinata a sopirsi in fretta: ci sono molte discussioni in corso sulla correttezza dell’interpretazione data da Apple al regolamento europeo, se insomma la sua linea rispetti appieno lo spirito della norma o se invece non sia un tentativo di mantenere il controllo sulla propria piattaforma.
Ci sono anche voci che difendono la posizione di Apple: quella di Steven Sinofsky, ex-Microsoft, pone l’accento soprattutto sulla difficoltà di portare avanti lo sviluppo di una piattaforma software mantenendo coerenza tra le promesse fatte agli utenti, le esigenze tecniche e la conformità ai regolamenti di entrambe le sponde dell’Atlantico. Storicamente, soprattutto, Apple ha voluto anteporre quelle che ritiene le esigenze degli utenti a quelle degli sviluppatori: lo ricorda John Gruber sul proprio blog in un lunghissimo post, che conclude ricordando che la parola fine su questa vicenda ce l’avrà l’Europa, con quest’ultima che potrà porre condizioni ulteriori ad Apple per farle rispettare il Digital Markets Act.
Anche oltreoceano non mancano punti di vista critici sulla strategia di Apple in questo frangente: Fortune e Wall Street Journal dipingono un quadro in chiaroscuro, soprattutto legato alla mole ingombrante che la presenza di Cupertino si è guadagnata nella vita di miliardi di utenti con i suoi iPhone e gli altri device. Qualcuno si domanda se la strategia seguita in questo caso da Apple sia realmente la più lungimirante: lo scopriremo davvero, questa volta non è solo un modo di dire, solo nelle prossime settimane.
AGGIORNAMENTO 30/01: Una precedente versione dell’articolo riportava che gli sviluppatori avrebbero dovuto versare una commissione del 3 per cento per l’elaborazione del pagamento con strumenti diversi da quelli Apple. Ci scusiamo con i lettori per l’errore.
AGGIORNAMENTO 31/01: Migliorata descrizione nuovi termini dell’accordo tra Apple e gli sviluppatori nella UE per gli sviluppatori e chiarite differenze con vecchia versione. Aggiunto paragrafo con esempi.