Per esempio, attingere a fonti di finanziamento senza conoscerne bene i motivi è un valido indicatore a cui prestare attenzione
Più di un’impresa su tre non riuscirebbe a rispettare gli impegni presi con le banche e un buon 15% rischierebbe addirittura di dover cessare l’attività: è un’indagine di Cna effettuata lo scorso anno su oltre 5 mila imprese presenti sul Bel Paese a far emergere questi dati non del tutto incoraggianti.
Ma prima di poter parlare di crisi d’impresa è necessario fare delle precisazioni a riguardo: “Occorre anzitutto distinguere due concetti molto diversi: crisi e insolvenza“spiega Ivan Fogliata, Co-founder ed Executive Partner di inFinance – società di consulenza e formazione specializzata in corporate finance, controlling e banking. “Si tratta di termini che infatti caratterizzano il nuovo impianto normativo che soppianta la vecchia legge fallimentare. La crisi è la fase dell’impresa in cui emergono le prime difficoltà ed è la fase più delicata perché per l’imprenditore è difficile ammettere che i primi segnali sono veri e propri campanelli d’allarme. La crisi poi segue un suo ordine tipico che si ripete in tutti i casi che abbiamo esaminato: si comincia sempre utilizzando al massimo gli affidamenti bancari e chiedendone sempre di nuovi, per poi rallentare i pagamenti col fisco, per poi andare a rinegoziare i termini coi fornitori, per poi finire in contesti più gravi quali gli sconfini bancari. A quel punto la crisi è già in uno stato avanzato”.
E ci sarebbero segnali ben chiari che l’imprenditore dovrebbe saper cogliere per capire in anticipo l’arrivo di una condizione poco favorevole, tra cui la richiesta immotivata di credito: “Uno dei segnali più chiari – continua Fogliata – è attingere ad affidamenti e fonti di finanziamento senza aver ben capito il motivo per il quale si ha bisogno di finanza. Gli strumenti per rendersi conto dei movimenti e delle ragioni dei flussi finanziari esistono e sono anche molto efficaci. Si tratta di stendere un budget di tesoreria previsionale e condurre analisi di bilancio mensili complete di rendiconto finanziario. La lettura attenta di tali strumenti porta immediatamente a capire quali sono le ragioni per le quali si è in deficit di cassa e se la necessità di cassa è buona oppure figlia di patologie”.
È utile quindi sfruttare alcuni strumenti che ci aiutano a fare un check-up di un’impresa tra cui, ad esempio, i cosiddetti sistemi di allarme. Introdotti nel nostro sistema a seguito, da un lato dell’introduzione nel mondo bancario del principio contabile IFRS9 e delle linee guida EBA, e dall’altro con l’avvento della riforma della legge fallimentare, i sistemi di allarme sono uno strumento utile per misurare lo stato di salute di un’impresa. Sull’argomento è ancora Fogliata a spiegarci: “Sono un set di indicatori di bilancio che provano in maniera prospettica e storica a misurare lo stato di salute di una realtà imprenditoriale; fra i due indicatori più famosi si annoverano il DSCR (Debt Service Coverage Ratio) ovvero il rapporto fra i flussi di cassa che l’azienda produce e il servizio annuo del debito per capitale e interessi nonché il rapporto PFN/EBITDA ovvero il rapporto fra il debito netto complessivo e il margine operativo che un’azienda in grado di produrre. Infine, oltre alla pianificazione, la chiave per prevenire una crisi sta nel monitorare, misurare e aver sempre un piano finanziario aggiornato e verificato rispetto agli sviluppi futuri.
Ma in che modo un imprenditore può cogliere in anticipo (e prevenire) una crisi di impresa? Ecco 7 segnali e indicatori, secondo gli esperti di InFinance, da tenere sott’occhio per capire se gli affari si stanno muovendo verso una strada errata:
1. Monitorare non solo i volumi ma anche i margini.
Nel mondo anglossassone si usa dire “Volume is vanity, profit is sanity”: puntare solo al fatturato senza difendere la redditività porta a far comprimere i margini e quindi la capacità di sostenere il debito.
2. Porre attenzione al fatto che i redditi si traducano in cassa.
Il modo di dire citato in precedenza ha una finale che abbiamo prima omesso: “Volume is vanity, profit is sanity, but cash is reality!”. Inseguire i volumi rischia di far perdere di vista il presidio della qualità della clientela e quindi del credito commerciale.
3. Calcolare il proprio punto di pareggio.
I costi fissi sono l’ostacolo più importante verso la redditività non conoscere e non monitorare il valore del proprio break even point rischia di far prendere decisioni errate.
4. Non riuscire a versare l’imposta sul valore aggiunto è un segnale molto chiaro di crisi.
Non esistono motivi concreti per i quali un’azienda non possa essere in grado di versare l’IVA se i clienti pagano regolarmente le loro fatture.
5. Contrarre nuovo debito per pagare il debito.
Quando si osserva che di fatto ci si indebita in vista del pagamento delle rate dei debiti pregressi significa chiaramente che non si è in grado di sostenere l’indebitamento.
6. Dover rimandare i problemi sperando di risolverli.
Negoziare ad esempio maggiori dilazioni coi fornitori non è la soluzione del problema ma rischia solo di rinviare i problemi al futuro: un problema rimandato non si risolve mai da solo.
7. Dover intervenire sui bilanci per ingentilire i numeri.
Si tratta di uno dei segnali più chiari: lunghe riunioni coi consulenti per studiare tutte le soluzioni per limitare la rappresentazione di risultati poco soddisfacenti.