E’ uno degli esponenti intellettualmente più controversi (e interessanti) dell’ecosistema bitcoin italiano. Sempre in giacca e cravatta, Ferdinando Ametrano è la nemesi dei cryptoanarchici così come siamo stati abituati a conoscerli. Nasce professionalmente in banca, ma sogna un mondo dove le banche centrali diventeranno algoritmi. Critica il Sole 24 Ore, reo di fare «gossip su blockchain» e non trattare bitcoin col giusto rispetto. Lui, invece, ha trasformato una materia di studio in un corso per l’università.
Se gli chiedi dell’euro prima non risponde, poi ti dice che «sta morendo», per colpa di una «sterile e pericolosa burocrazia tecnocratica». La soluzione alla crisi delle valute? Più concorrenza, anzi, nuove monete “di seconda generazione” garantite da “riserve” bitcoin (come l’oro), perché, spiega, «più che una cryptocurrency è una cryptocommodity», un bene rifugio.
Infatti, seppur inizialmente osteggiato, adesso la criptomoneta più famosa degli ultimi 10 anni è sempre più utilizzata come investimento anche dalla finanza. Attenzioni che fanno bene o male a bitcoin? Per lui, «più gente scopre che bitcoin è utile, più bitcoin si apprezza». «Negli ultimi 6 anni – ricorda – bitcoin è andato da 1 dollaro a oltre mille. Questo è il trend macroscopico, ma in mezzo c’è stata una volatilità pazzesca».
Ovviamente l’Ametrano-pensiero è molto più vasto. Il compito più arduo: riuscire a contenerlo in “sole” 12 mila battute.
L’hype della blockchain (e perché non piace bitcoin)
Ferdinando, partiamo dall’Università: perché un corso su bitcoin alla Bicocca ed al Politecnico di Milano?
«Inizialmente mi avevano chiesto un corso sulla blockchain. Ho insistito su “Bitcoin and Blockchain Technology” perché non esiste blockchain senza bitcoin, senza cioè un asset digitale nativo».
Qual è la differenza più importante tra tecnologia blockchain e la blockchain di bitcoin?
«La blockchain in sé è solo una struttura dati poco flessibile. Rappresenta un registro condiviso su cui i nodi della rete raggiungono il consenso. Il consenso distribuito in rete è un problema di computer science sostanzialmente irrisolvibile; Nakamoto lo risolve con un escamotage da teoria dei giochi: un incentivo economico affinché i nodi della rete siano onesti. Questo è possibile solo avendo un asset digitale nativo sulla blockchain, cioè sfruttando la ricchezza che origina dal signoraggio (cioè dal battere moneta) per incentivare l’onestà e coprire i costi del network. È invece un grande bluff parlare di “registro condiviso” senza spiegare come si raggiunge il consenso. Va fatto un ragionamento a parte per i servizi di notarizzazione…»
Ovvero?
«I servizi di notarizzazione sono a mio avviso le uniche applicazioni non monetarie della blockchain: l’hash value di una base dati, cioè la sua impronta digitale univoca, viene memorizzata sulla blockchain e diventa di fatto immutabile certificando l’esistenza di quella base dati e consentendo di verificare la sua non alterazione. Questa tecnica che sembra banale in realtà è importantissima poiché nel futuro il mondo potrebbe “parassitare” la sicurezza di bitcoin per mettere in sicurezza altre basi dati ed altri sistemi transazionali. Se bitcoin è oro digitale, la notarizzazione è l’equivalente della gioielleria: inessenziale per l’oro, ma efficacissima a sfruttarne la bellezza. Senza servizi di notarizzazione i registri distribuiti (distributed ledger) e le blockchain private di cui si parla non saranno possibili».
L’interesse di tanti è però per la tecnologia blockchain, non bitcoin…
«Lo diceva già Confucio, quando un uomo saggio indica la luna gli idioti guardano il dito».
I limiti tra sicurezza e privacy
C’è molta confusione in giro su bitcoin, meglio, sulle criptovalute anonime, soprattutto a livello politico. Che ne pensi della proposta dell’On. Quintarelli di vietarle?
«Mi sento perfettamente rappresentato dal comunicato di Assob.it sulla proposta. La privacy è un diritto umano basilare sempre più vilipeso: viviamo in un mondo dove ogni giorno siamo oggetto di monitoraggio massivo. Ma la sicurezza non può andare a discapito della privacy, anche perché con crittografia e criptovalute i malintenzionati sfuggono ai controlli, mentre i cittadini onesti sono esposti a rischi sempre maggiore di violazione arbitrarie e generalizzate della loro privacy. È ora che i nostri regolatori e le forze di polizia colgano la portata della sfida, non si attardino in battaglie di retroguardia destinate al fallimento ed adeguino i metodi di indagine: il monitoraggio di massa del grande fratello ha inevitabilmente i giorni (magari gli anni) contati: da un lato sarà sempre più inefficace, dall’altro resta rischiosissimo per la privacy delle persone oneste. Come cittadini ci propongono di barattare la privacy con la sicurezza, ma non funzionerà e mette a repentaglio la libertà nostra e dei nostri figli; abbiamo dimenticato Hitler, Stalin, Mussolini, dimentichiamo le dittature in Cina, Nord Corea, Myamar, assumiamo la democrazia sia garantita per sempre: dobbiamo invece temere strumenti di controllo di massa che i regimi totalitari di domani potrebbero usare con efficacia inedita e spaventosa».
Bitcoin prima che essere una criptovaluta è un manifesto politico, quello dei criptoanarchici. Come ti collochi personalmente in questo contesto?
«Non ho alcun punto di contatto con la cultura anarchica, da cui rifuggo. Sto con la cultura libertaria del premio Nobel per l’economia Friedrich von Hayek: contro il monopolio governativo della moneta, per la competizione di mercato tra monete a corso legale e monete private. La competizione di mercato fa vincere la moneta migliore, il monopolio ci dà un prodotto scadente. Purtroppo dopo millenni in cui Cesare ha avocato a sé il monopolio sulla moneta, ci sembra incomprensibile, perfino rivoluzionario, constatare che non è più necessario».
«Bitcoin è il nuovo oro»
Perché bitcoin è migliore di altre monete?
«Per me bitcoin non è davvero una valuta, è oro digitale: più che una cryptocurrency è una cryptocommodity. L’offerta di bitcoin non varia con la domanda, è totalmente inelastica: straordinario oro digitale, bitcoin può essere anche usato come moneta, ma non è il suo punto di forza».
Surreale. Anche l’oro all’inizio era usato come moneta… sulle nostre banconote c’era scritto “pagabili a vista al portatore”…
«L’oro all’inizio è stato usato direttamente come moneta, poi messo a garanzia delle banconote che giravano come ricevute pagabili a vista. È solo dal 1972 che le banconote non sono più convertibili in oro (ed è interessante notare come da allora il debito pubblico sia cresciuto senza freni in tutto il mondo). Bitcoin è principalmente un bene rifugio, lo si compra come investimento senza davvero spenderlo, se non in maniera marginale. Ma nei prossimi anni renderà possibile la creazione di monete di seconda generazione…»
Fine delle banche centrali così come le conosciamo e monete di seconda generazione
Queste monete di seconda generazione saranno criptomonete o monete digitali?
«Criptomonete e monete digitali fiduciarie, entrambe garantite da bitcoin come asset di riserva. Nuove banconote “pagabili a vista” in bitcoin».
Quindi immagini uno scenario senza le banche centrali?
«Perché senza? Perché questo spirito antagonista? Non penso sia utile far saltare le banche centrali, ma piuttosto fornire loro una concorrenza leale ed efficace che inneschi un circolo virtuoso. La concorrenza farà bene, specialmente se consideriamo che la vita media di una moneta tradizionale è 18 anni: non tutte le monete tradizionali sono longeve come il dollaro statunitense o la sterlina inglese. Ci saranno algoritmi che funzionano da banca centrale gestendo con una politica monetaria deterministica una moneta garantita da riserve in bitcoin e sempre convertibile in bitcoin. E ci saranno banche centrali tradizionali che gestiranno con una politica monetaria discrezionale monete garantite da riserve e da un contratto sociale ma non convertibili in nulla.».
Bitcoin quindi meglio anche dell’euro?
«Credo che la mia visione sull’euro non sia argomento di questa intervista…»
Però non stai rispondendo…
«La mia è già una risposta. Se devo spingermi oltre devo farlo su un terreno politico: credo l’euro sia stato un grande entusiasmante esperimento che sta morendo per deficit di visione politica. Non abbiamo un esercito comune, non abbiamo fiscalità omogenea, non siamo un unico paese. Difficile possa resistere una moneta unica. Io tifo per l’euro e spero che l’Unione Europea riprenda con lo spirito del primo dopoguerra, ma non vedo alcuna traccia di quello spirito, solo una sterile e pericolosa burocrazia tecnocratica».
Ci eravamo tanto odiati
Ok, sappiamo cosa pensi di governi, banche e banche centrali. E la finanza, invece, come vede bitcoin?
«La finanza tradizionale in senso stretto guarda con diffidenza a bitcoin e percepisce la possibilità di trasmettere valore senza intermediari come un grande rischio. Ci sono però investitori che hanno appetito per bitcoin come asset di investimento, anche solo in una logica di diversificazione dei rischi, perché bitcoin è una nuova asset class senza correlazione con le asset class tradizionali».
Investitori che possono operare in un mercato non regolamentato…
«Il mercato dei bitcoin ha grande volatilità, anche a causa di volumi molto piccoli che consentono facilmente manipolazioni dei prezzi. Bitcoin è un terreno difficilmente regolamentabile, una frontiera che assomiglia al Far West della corsa all’oro… ci sono trader e speculatori che applicano tecniche inapplicabili o addirittura illegali nei mercati tradizionali. Un contributo di stabilità potrebbe arrivare dall’approvazione dell’ETF bitcoin su cui deve pronunciarsi a marzo la SEC».
Bitcoin come il venture capital
Non pensi che gli interessi degli speculatori possano fare più male che bene a bitcoin?
«Sono per il libero mercato, non sono preoccupato del bene o male per bitcoin: ognuno investa in bitcoin come ritiene opportuno, sperando che prenda rischi finanziari di cui è consapevole. Più gente scopre che bitcoin è utile, più bitcoin si apprezza: negli ultimi 6 anni bitcoin è andato da 1 dollaro a oltre mille. Questo è il trend macroscopico, ma in mezzo c’è stata una volatilità pazzesca: a grandi ritorni corrispondono sempre grandi rischi. Tra 10 anni bitcoin non esisterà più oppure varrà mille volte quello che vale oggi».
Quindi l’investitore in bitcoin agisce un po’ come il venture capital con le startup?
«Bitcoin non è più una startup: analizzando la sua dinamica sembra piuttosto essere un’equity small cap».
A proposito di rischi. Come riconoscere le truffe?
«Se una criptovaluta non si può comprare e vendere contro euro o dollari in diverse borse allora è certamente una truffa. Se soddisfa questo requisito ma non innova significativamente rispetto a bitcoin è probabilmente una truffa. Bitcoin invece non è una truffa: potrebbe fallire ma è un esperimento molto serio».
Cosa ci dici di Ethereum?
«Per ora è una specie di parco giochi. Estremamente versatile, promette molto ma sembra incapace di mantenere: stiamo a vedere. Se alla fine dovesse mantenere le promesse potrebbe diventare la criptovaluta numero uno. Non credo ce la farà, sono scettico, ma sono grato a ethereum perché porta quella competizione tra monete che fa bene al mercato. E dagli errori di ethereum impariamo tutti».
La polemica contro il Sole 24 Ore
Non ti è piaciuto, e lo hai dichiarato pubblicamente, l’articolo del vicedirettore de Il Sole 24 Ore “Banche centrali, guerra ai bitcoin”…
«L’articolo lascia sconcertati per la quantità di errori fattuali, illazioni infondate e leggende metropolitane che contribuisce a diffondere. Incredibile per un articolo lunghissimo, con richiamo in prima pagina, firmato da un vicedirettore. Ma bitcoin è un terreno scivoloso e può capitare di scrivere inesattezze… La mia critica è piuttosto alla linea editoriale del Sole che insiste sul generico gossip tecnologico blockchain ed indugia in spauracchi sensazionalistici anti-bitcoin. Serve un dibattito di respiro più alto: tentare di capire cosa stia succedendo nella storia della moneta e se la privacy sia ancora un diritto umano riconosciuto e tutelato. Se Il Sole 24 Ore non ha abdicato al suo ruolo autorevole di primo quotidiano finanziario nazionale i suoi giornalisti devono trattare l’argomento con la serietà e il rispetto che merita, lasciando perdere chat Facebook e turpiloquio».
Che c’entrano adesso Facebook e il turpiloquio?
«Plateroti, il vicedirettore autore dell’articolo, ha risposto ad una mia breve critica su Facebook dandomi del cafone e deficiente ed insultando ancora più pesantemente altri che avevano postato nel thread».
Ma Plateroti è spiritoso, dai, e poi sinceramente non credo che la linea editoriale del Sole sia completamente avversa a bitcoin…
«È di fatto avversa a bitcoin. Viene sempre dipinto a tinte fosche senza alcun approfondimento sulla sua rilevanza in questo momento storico e culturale. C’è qualche apertura in più su Nòva, ma sembra trovare spazio solo la tecnologia blockchain, che amo definire una chimera… inesistente».
Ametrano l’advisor
Fai anche parte del comitato scientifico di BlockchainLab. Hai investito e/o hai quote in startup bitcoin e blockchain?
«Sono onorato di essere nel comitato scientifico del Lab, c’è una stima reciproca. Sono anche nell’advisory board della Blockchain Academy di B3 (Blockchain Business Board), una iniziativa di training e formazione. La confusione nel settore è gigantesca, mi gratifica molto aiutare a comprendere bitcoin e blockchain. Personalmente non ho nessuna quota in startup».
Magari starai pensando di farne una tua…
«Mi appassionano molto i temi di ingegneria monetaria, le monete di seconda generazione di cui parlavo prima. Ma i tempi, industrialmente e tecnologicamente parlando, non sono ancora maturi».