Lo rivela lo studio Talent Trends Report 2018 di Randstad: oltre otto imprese su dieci (82%) ha un budget dedicato alle tecnologie e il 51% sta aumentando le risorse per questi investimenti. Ma occhio alla formazione.
È sempre più difficile per le aziende attrarre e assumere i cosiddetti talenti digitali. Per farlo, molti stanno prendendo esempio dai big della Silicon Valley. Lo rivela lo studio Talent Trends Report 2018 di Randstad: oltre otto imprese italiane su dieci sta puntando tutto sulla tecnologia per coinvolgere le risorse più qualificate. Ben l’82% infatti stanno investendo in tecnologie per migliorare l’esperienza sul posto di lavoro.
Del resto, come sostiene Elodie Lhuillier, HR Business partner presso la sede svizzera di Google, «il modo in cui l’azienda tratta i propri impiegati è un elemento fondamentale nel loro employer brand». L’esempio di Big G dimostra che l’adozione delle tecnologie è utile a creare un’esperienza positiva per i talenti sul posto di lavoro. «Noi vogliamo essere conosciuti come un’azienda che valorizza veramente i propri dipendenti – ha concluso Lhuillier – dando loro la libertà di stupirsene».
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A partire dall’employer branding: il 92% dei ‘C-suite’ (i ruoli senior executives come Ceo, Cfo, Coo) e degli human capital leader infatti, è concorde nel sostenere che un’esperienza positiva al momento del colloquio sia fondamentale per attirare e coinvolgere i candidati migliori.
Aumentano gli investimenti in Big Data
Il sondaggio Ranstad, condotto su 800 C-suite e responsabili Hr di 17 paesi, rivela appunto come ormai le aziende siano favorevoli all’impiego delle nuove tecnologie nei processi di selezione del personale.
Nonostante una quota ancora consistente di C-suite e talent leader ostili al recruiting online, secondo il 68% degli intervistati la tecnologia hanno avuto un impatto positivo, rendendo il recruiting più semplice ed efficiente. A partire dagli Analytics, che sono gli strumenti su cui si concentra la maggior parte degli investimenti (59%).
Fiducia nella tecnologia che viene confermata da un altro dato, abbastanza sorprendente: l’81% ritiene che la presenza di tecnologie come la robotica, l’automazione e il machine learning sul posto di lavoro avrà un’influenza positiva nei prossimi 3-5 anni.
Anche la flessibilità e lo smart working sono concetti sempre più familiari nelle risorse umane: oltre 7 manager su dieci li vedono come degli strumenti sempre più utili (e auspicabili) per il futuro. Di contro, il rovescio della medaglia vuole che ci sia poca attenzione nei confronti della formazione del personale.
Puntare sulla formazione
«Nel 2018 la competizione per assicurarsi i migliori talenti deve iniziare sul posto di lavoro – spiega Fabio Costantini, Chief Operations Officer Randstad Hr Solutions – Costruire un’esperienza di lavoro positiva sia per i dipendenti sia per i candidati è indispensabile per coinvolgere e trattenere le migliori competenze già presenti in azienda e attirare le risorse più qualificate sul mercato».
Eppure soltanto un manager su dieci prevede piani di formazione e aggiornamento delle competenze del personale nel corso dell’anno. «Le nuove tecnologie possono essere un valido aiuto ed è molto positivo – continua Costantini – Ma non bisogna dimenticare che nuove tecnologie necessitano nuove competenze, che bisogna saper reperire all’esterno ma anche e soprattutto coltivare e sviluppare all’interno dell’azienda».
La ricerca ha elaborato anche un indice dello stato di salute delle imprese nei 17 paesi analizzati. Prevale l’ottimismo: il 70% delle aziende prevede una crescita nel 2018 con numeri positivi anche per quanto riguarda le assunzioni. Il 59& delle aziende infatti, prevede grandi piani di assunzione per l’anno in corso.