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Da una parte le startup: hanno sete ma ottenere un prestito bancario è complicato. Dall’altra gli investitori: hanno capitali, cercano idee e ritorni, ma preferiscono diversificare i propri investimenti. Non si punta tutto su un solo cavallo. Due spinte complementari, che però fanno ancora fatica a incontrarsi. Ed è qui che arriva l’equity crowdfunding.

equity crowdfunding

Private equity, siamo ancora troppo piccoli

Gli spazi non mancano, ma i numeri restano ancora risicati, almeno in Italia. Dal 2013, cioè da quando le norme consentono la raccolta di capitale “diffuso”, sono arrivati poco più di 3,6 milioni di euro. Poco rispetto ad altri Paesi. Per fare un esempio, le piattaforme francesi hanno già raccolto 25 milioni di euro e le 15 maggiori campagne britanniche (da sole) ne hanno ottenuti poco meno di 50, con importi cha vanno dai 2 ai 4,5 milioni. Proprio il Regno Unito è il mercato più maturo. E i numeri iniziano a essere importanti. Secondo lo European startup monitor, l’8,9% dei capitali iniziali delle startup innovative è arrivato dal crowdfunding (sia equity che reward). Restringendo il campo all’equity, un report Altifi dello scorso novembre  prevedeva una raccolta vicina ai 180 milioni di euro. Guardandosi indietro, il progresso è impressionante: +125% medio annuo dal 2011.

Lo sviluppo in un mercato ricco e maturo come quello britannico suggerisce margini di crescita consistenti. Anche perché lo spazio aperto tra banche e startup si allarga, mentre la quota del crowdfunding europeo è ancora limitata: il 3,8% degli investimenti raccolti. Insomma: l’Italia è poca cosa in un canale di finanziamento ancora minoritario.

I numeri: 3,6 milioni e 14 campagne

Le piattaforme italiane autorizzate dalla Consob sono 19 , ma solo 8 hanno chiuso almeno un finanziamento con successo. Le offerte pubblicate sono state 36 (7 delle quali in corso). Al momento, secondo i dati dell’Osservatorio sul crowdfunding del Politecnico di Milano, solo 14 hanno raggiunto il target fissato. Emergere, quindi, non è semplice. Le startup mettono sul mercato, in media, il 22,46% del proprio capitale. Il parco investitori è realmente affollato: ogni campagna ne ha coinvolti in media 33. E ha raccolto importi significativi, anche se ancora lontani dai sei zeri: in media 344.456 euro. Ne viene fuori un panorama molto frammentato, con il singolo investitore a puntare poco più di 10.200 euro. Le buone idee, però, si notano. Anche perché, se la campagna non va, viene ignorata: i 15 progetti falliti hanno raccolto appena il 5,5% del target. Il crowdfunding può essere una vetrina importante. Ma mettersi in mostra ha i suoi rischi. E una bocciatura senza appello è da mettere in conto.

Il cortocircuito dei finanziamenti

Le piattaforme italiane di equity crowdfunding sono al centro di un cortocircuito. Nate per essere una strada alternativa alla raccolta di capitali, fanno ancora fatica a reperire risorse per sé. Guardando alle 8 italiane che hanno concluso con successo almeno una campagna, secondo i dati di Crunchbase non c’è traccia di round. Anche se è bene sottolineare l’età media molto bassa: la prima, StarsUp, è nata nell’ottobre del 2013.

Un confronto con i maggiori attori mondiali può essere però utile per mette in luce due caratteristiche. La prima non è certo piacevole: le cifre sottolineano la piccolezza italiana. La seconda è un incoraggiamento: il modello funziona, altrove, per ora. Sia come intermediario della raccolta che come obiettivo di finanziamenti. Guardando alle principali piattaforme di equity, in 8 (Angel List, EarlyShares, CrowdCube, Fundable, CircleUp 54 mln, Crowdfunder, WeFunder, EquityNet) hanno raccolto round per 108 milioni di dollari (per fermarsi solo alle cifre rese pubbliche). Si va dai 530 mila dollari di WeFunder ai 54 milioni di CircleUp (30 dei quali arrivati lo scorso novembre), passando per i 24 di Angel List e i 15,6 di CrowdCube.

Insomma: i venture credono nel crowdfunding. Lo dimostrano anche i dati sulle risorse che, grazie alle piattaforme, sono arrivati nelle casse delle startup. Fare un conteggio complessivo non è semplice. Ma, sempre fermandosi alle piattaforme di maggior successo, la raccolta è consistente. Angel List guida la classifica, grazie ai 159 milioni del 2015 e ai 400 raccolti dall’inizio dell’attività (nel 2010). Fundable afferma di essere arrivato a 235 milioni (ma è anche una pittaforma di reward), CircleUp e CrowdCube hanno superato i 185 milioni.

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Le piattaforme italiane

Tracciare il giro d’affari delle italiane è più semplice, sia per l’esiguità dei numeri che per il percorso ancora breve. La raccolta complessiva è pari a poco più di 3,6 milioni, il 40% dei quali (1,4 milioni) si concentra su una sola piattaforma, StarsUp. Nata a Livorno, è la prima. E, guardando i numeri, non è solo una questione cronologica. Oltre al record di raccolta, detiene anche quello del maggior numero di campagne chiuse con successo, 5. E mostra segni di vitalità: la metà della raccolta complessiva si è concentrata nel 2015 e il 2016 è partito con un finanziamento da 240 mila euro.

È la sola ad aver superato quota un milione. Anche se per Assiteca Crowd il traguardo è vicino (è a 928 mila euro), grazie a due progetti chiusi. Stesso numero ma cifre inferiori (435 mila euro) per i due progetti chiusi su Tip Ventures. Le altre piattaforme hanno portato a termine una sola campagna, raccogliendo 452 mila euro (Next Equity), 157 mila (Unicaseed), 117 mila (Investi-re), 97 mila (Crowdfundme) e 60 mila (Wearestarting). Si tratta ancora di germogli: le italiane sono piccole, anche se si muovono in un mercato globale promettente.

Mappa delle campagne italiane

Quali sono state, fino a ora, le campagne di maggiore successo? La vetta massima è quella di Paulownia, società a vocazione green concentrata sullo sviluppo di piantagioni a rapido accrescimento: 520 mila euro elargiti da 12 investitori tramite AssitecaCrowd. Alle sue spalle ci sono i 505 mila euro di Kiusnys  su StarsUp. La startup, nata a Campobasso e spin-off dell’Università di Pisa, offre soluzioni integrate hardware e software per aiutare le città a gestire in modo più efficiente e sostenibile i processi che disciplinano l’accesso dei veicoli, la sosta e la logistica urbana. Piccola nota che contrasta con la geografia italiana dei capitali: le due maggiori campagne dell’equity crowdfunding italiano hanno sostenuto due imprese del sud (di Trapani e Campobasso). Chiude il podio Bioerg: 452 mila euro su NextEquity.

L’elenco non è lunghissimo. Vale allora la pena citare anche le altre campagne di successo, su quale piattaforme hanno puntato e per quale cifra. Eccole: Cantiere Savona (380 mila), Nova Somor (250 mila), Enki Stove (240 mila euro) e Cinny (54 mila) sono state finanziate su StarsUp. Cinny è l’unico caso di bis. Perché ha ottenuto anche 116 mila euro nell’unica campagna chiusa su Investi-re. Shin Software ha ottenuto 408 mila su Assiteca Crowd. Hanno invece beneficiato di Tip Venture Me Scooter (300 mila)  e Wayonara (135 mila). DiamanTech ha viaggiato su UnicaSeed per i suoi 157 mila euro. E poi ci sono TocTocBox  (80 mila su Crowdfunme) e Voxpop (60 mila su Wearestarting). Parlare di settori è prematuro, se non per sottolineare come l’equity crowdfunding possa aprirsi a business diversi, dalle biotecnologie ai media. E qui potete saperne di più sulle loro attività.

Certo, se si guarda oltreconfine, le maggiori campagne mondiali sono lontanissime. Fermandosi alla graduatoria del 2015, l’operazione maggiore è quella che ha portato nelle casse di Elio Motors la bellezza di 25 milioni di dollari su Regulation A+, giovane piattaforma statunitense. Seguono i 18 milioni di XTI Aircraft (su StartEngine) e i 12 di WayBetter (su SeedInvest).

Eppur si muove: il 2016

Se il confronto può scoraggiare, meglio guardare a segnali positivo. Tre delle 14 campagne di successo sono state chiuse in questi primi tre mesi del 2016. Sono Enki Stove, Me Scooter e Voxpop. Nel 2014, i progetti erano stati 4 (in tutto l’anno) e 7 nel 2015.

Tre settori e tre piattaforme differenti che hanno portato già a 600 mila la raccolta del 2016. Il dato con cui confrontarsi è quello complessivo del 2015, poco meno di 1,8 milioni. Se il ritmo fosse costante, nel 2016 si arriverebbe a 2,4 milioni e a 12 progetti. Ma è solo una proiezione matematica, che non tiene conto di un mercato che potrebbe rallentare o (più probabilmente) accelerare. Anche perché c’è un nuovo regolamento Consob fresco di approvazione, accolto in modo positivo nonostante alcuni nodi irrisolti.

Parte della soluzione o parte del problema

Sono, in buona parte, gli stessi nodi che non riguardano solo l’equity crowdfunding ma tutto l’universo dei capitali italiani: un ambiente piccolo, nel quale investitori e startup sanno ancora troppo poco degli strumenti di finanziamento alternativi. Lo sottolinea anche un report della Bce: “Le imprese italiane sono ancora fortemente dipendenti dalle banche per i finanziamenti esterni: nel novembre 2015 i prestiti bancari alle imprese ammontavano complessivamente al 49,2% del pil, contro il 26,5% in Germania e il 39,8% in Francia”. Dall’altra parte “nel 2014 gli investimenti in private equity in Italia sono ammontati allo 0,113% del pil (meno di metà e meno di un terzo delle quote di Germania e Francia), mentre gli investimenti in venture capital corrispondevano solo allo 0,002% del pil (meno di un decimo delle quote tedesca e francese)”.

L’Italia si trova quindi schiacciata tra una “forte dipendenza dai prestiti bancari e la relativa esiguità dei mercati dei capitali nazionali”. Anche per colpa della “mancanza di fonti di finanziamento alternative a fronte di una limitata capacità delle banche di erogare credito”. Tra le azioni positive, però, la Bce cita proprio il crowdfunding (assieme ai mini-bond) tra gli strumenti che potrebbero “ diversificare le fonti di finanziamento”.

Pochi capitali alternati a un canale bancario stretto: una caratteristica italiana con la quale l’equity crowdfunding deve fare i conti due volte. Le stesse piattaforme sono startup e hanno bisogno di risorse per crescere. D’altra parte sono uno strumento che può influenzare il mercato dei capitali. E così l’equity crowdfunding si ritrova stretto tra vecchie le abitudini e il nuovo sistema che esso stesso rappresenta. Come si dice: o sei parte della soluzione o sei parte del problema. In fondo l’equity crowdfunding è nato per questo.

Paolo Fiore
@paolofiore

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