In Australia gli editori stanno lavorando ad una legge che imponga a Facebook e Google di condividere con loro una fetta dei loro introiti
Se in Europa da anni di parla di riforma del copyright, l’argomento non è nuovo anche nelle altre parti del mondo. In Australia in particolare gli editori stanno lavorando ad una legge che imponga a Facebook di condividere con loro una fetta dei suoi introiti a fronte del fatto che i suoi utenti condividono link alle notizie senza alcuna licenza. Se questa discussione vi suona familiare è perché ricalca esattamente il dibattito attorno all’articolo 15 della nuova Direttiva sul copyright che anche l’Italia dovrà recepire entro la prossima primavera.
Gli editori contro Facebook
Gli editori sostengono infatti che se gli utenti spendono il loro tempo su Facebook è anche perché vi trovano link a notizie, un valore aggiunto che non ritengono sufficientemente riconosciuto dal social network da cui dunque pretendono il pagamento di una licenza. La verità infatti è che Facebook e Google negli ultimi anni hanno lasciato ai giornali soltanto le briciole di quella che prima era la grande torta degli introiti pubblicitari.Â
Inutile dire che Zuckerberg sia di segno totalmente opposto tanto da aver minacciato che in caso di approvazione della legge bloccherà la condivisione di notizie su Facebook e Instagram. Secondo quanto riferito sul blog di Facebook da Will Easton, manager responsabile per l’Australia e la Nuova Zelanda, è grazie al social se nei primi cinque mesi del 2020 i siti di news australiani hanno ricevuto oltre 2,3 miliardi di click, stimabili in introiti per 200 milioni di dollari. Easton ha riferito che Facebook negli anni ha investito centinaia di milioni nei media locali australiani e ha anche offerto loro la possibilità di estendere il programma Facebook News in Australia. Introdotto negli Stati Uniti ad Ottobre 2019, Facebook News infatti è una tab dell’app di Facebook che ospita solo news di editori che sono pagati da Facebook per poter essere ospitati. Nei prossimi mesi dovrebbe essere disponibile anche in altri Paesi come Regno Unito, Germania, Francia, India e Brasile. Ma questo è un caso ben diverso da quello per cui Facebook dovrebbe pagare gli editori per notizie che loro stessi condividono sui social e che non tengono conto del traffico che ne ricevono a costo zero.Â
Se il governo non cede di fronte all’aut aut di Facebook, i giornali accusano il social di favorire la propagazione di fake news se bloccheranno la condivisione di notizie provenienti da fonti autorevoli.
Anche Google sul piede di guerra
Situazione non dissimile per Google che già in Francia, primo fra gli Stati UE a recepire la direttiva, si è scontrata con gli editori perché ha lasciato loro la scelta di voler mostrare o meno le anteprime dei loro articoli, rifiutandosi di farlo automaticamente pagando una licenza.
In Australia però la proposta di legge è andata un po’ oltre. Secondo quanto riferito dal New York Times, gli editori vorrebbero sapere in anticipo da Google ogni cambiamento degli algoritmi che regolano i criteri per cui si compare per primi nel motore di ricerca. Oltre a questa esclusiva vorrebbero anche accesso ai dati che Google ha sui loro lettori. Ovviamente Google non ha intenzione di cedere.
Sia Facebook che Google, pur disponibili a trovare un accordo economico ragionevole, non hanno accolto favorevolmente l’idea che in caso di mancato accordo la scelta sia lasciata in mano ad un arbitrato.
Una guerra in cui perdono tutti
Dopo quanto successo in Europa e ora in Australia, il timore è che anche negli Stati Uniti e in altri Paesi i legislatori procedano nella stessa direzione. Peccato però è che, sebbene una riflessione sul duopolio nel mercato pubblicitario sia necessaria, è più difficile che quegli stessi editori che pretendono di essere pagati, non abbiano fatto nulla negli ultimi 15 anni per aggiornare il loro business model se non puntare sul click baiting e sul taglio delle redazioni.
Da non dimenticare poi che se Facebook toglierà le news dal suo feed, saranno gli editori online indipendenti a rischiare di scomparire, quelli che non hanno brand conosciuti e che vivono di condivisioni sui social per farsi conoscere. E a rimetterci saranno sempre e comunque i lettori e il dibattito pubblico.