Il presidente dell’Italian Business Angels Network fa il punto sul calo degli investimenti in startup: «Bisogna lavorare sull’appetibilità del business model e sulla qualità dei team»
I dati sono piuttosto chiari e sono stati più volte oggetto di attenzione nei giorni scorsi: gli investimenti dei fondi in startup, nel primo semestre 2017 e rispetto allo stesso periodo del 2016, sono calati del 12%. In questo scenario, l’indagine IBAN 2016 fa emergere il ruolo centrale dei business angel: i loro investimenti sono passati da 20,9 milioni a 24,4 milioni di euro e, con la nuova legge di bilancio, a partire dall’1 gennaio 2017, possono usufruire di alcuni sgravi fiscali. Ma non è abbastanza per segnare un cambio di passo, in un contesto in cui diventa sempre meno realistico il supporto del settore pubblico in Italia (mentre in Francia Macron annuncia un fondo di 10 milioni di euro destinato alle startup) e l’attenzione si sposta sul privato. Cosa può stimolare i business angel a fare di più, in termini di investimento? Lo abbiamo chiesto a Paolo Anselmo, presidente IBAN, Italian Business Angels Network.
Anselmo, come spiega i numeri sul calo degli investimenti in startup?
«Prima di dare una spiegazione ai numeri e all’andamento degli investimenti bisogna considerare che il mercato obbligazionario e monetario sono fermi da tempo. L’ultimo picco azionario c’è stato a giugno 2015, almeno in Italia, e non si è ancora riusciti a creare un mercato secondario, in cui ci sia uno scambio di titoli e azioni. L’altra considerazione da fare è che per capire se ci sono trend positivi o negativi, in termini di investimento, non ci si può fermare ai primi sei mesi dell’anno ma bisogna porsi in una prospettiva a lungo termine di 18-24 mesi».
Cosa è stato fatto fino ad ora dalle istituzioni per favorire la creazione e crescita delle startup?
«La prima linea di confine è stata sicuramente tracciata dalla legge del 2012 sulle startup innovative e le relative agevolazioni fiscali. Nel 2014 il MEF ha introdotto la detrazione Irpef del 19% o una deduzione Ires del 20% per chi investiva in startup e, dall’1 gennaio 2017, la nuova legge di bilancio ha dato maggiore portata alle agevolazioni fiscali, innalzando al 30% e per 3 anni la quota detraibile dall’Irpef e Ires, a prescindere dal settore della startup innovativa in cui si decide di investire. Prima di tirare le somme, quindi, varrebbe la pena aspettare, anche considerando il maggiore impatto che avrà il crowdfunding nel breve-medio periodo»·
Il debito pubblico e la crisi del sistema bancario portano inevitabilmente a concentrare l’attenzione sugli investimenti del settore privato e dei business angel. Cosa può favorire un incremento dei loro investimenti?
«Il criterio del beneficio fiscale non può essere l’unica componente: il privato investe in startup se ha una prospettiva su quello che può succedere dopo ma in Italia sappiamo che non ci sono molte exit. Sono 7 mila le startup innovative ma quante di loro nascono, crescono e raggiungono un fatturato maggiore di 1 milione di euro?».
Allora cosa bisogna fare per cambiare rotta?
«Bisogna lavorare sull’appetibilità del business model e sulla qualità dei team, che devono avere le competenze specialistiche necessarie per valorizzare sul mercato il prodotto o il servizio che propongono. L’appetibilità non nasce dal copiare qualcosa che già esiste sul mercato ma dal proporre soluzioni in grado di far crescere negli investitori l’entusiasmo, che, probabilmente, ha subito uno stallo nell’ultimo periodo, contribuendo alla rilevazione di dati negativi sugli investimenti».